Non solo madri, mogli o sorelle di boss. Molte donne sono figure centrali nel mantenere e trasmettere il potere mafioso: gestiscono comunicazioni, proteggono latitanti e curano gli affari familiari quando gli uomini sono in carcere. Ma c’è anche chi sfida l’omertà
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Nella ’Ndrangheta reggina, il ruolo delle donne è spesso sottovalutato, ma fondamentale. Non solo madri, mogli o sorelle di boss: molte donne sono figure centrali nel mantenere e trasmettere il potere mafioso. Custodi del codice dell’onore e garanti della continuità dei legami di sangue, spesso gestiscono comunicazioni, proteggono latitanti e curano gli affari familiari quando gli uomini sono in carcere.
Negli ultimi anni, la magistratura ha iniziato a riconoscere il loro peso reale nell’organizzazione. Non più solo vittime o comparse, ma soggetti attivi, talvolta spietati, in grado di sostenere e rafforzare l’apparato criminale. Tuttavia, sempre più donne scelgono anche di rompere il silenzio, diventando testimoni di giustizia e sfidando l’omertà.
Un doppio volto, dunque: tra complicità e coraggio, la presenza femminile nella ’Ndrangheta riflette la complessità del potere mafioso e la possibilità, concreta, del cambiamento. E l’ultima imponente operazione della procura reggina denominata “Millennium” ha posto un focus proprio sul ruolo delle donne indagate.
Nella richiesta cautelare, infatti, il ruolo delle donne dedite alla gestione della latitanza di Rocco Barbaro (non indagato in questo procedimento) è stato esaminato lasciando emergere circostanze particolari. Brizzi Pasqualina e Irilli Maria Antonietta sono le donne che avrebbero garantito ospitalità al ricercato.
Le indagini svolte hanno permesso di accertare che il latitante è stato ospitato ed ha trovato rifugio proprio a casa di una delle indagate ad Ardore. Già nel 2017, durante una perquisizione, erano stati trovati indizi plausibili considerando che, all'interno dell'appartamento, era stata ritrovata biancheria da uomo e «una mezza stecca di sigarette del tipo fumate proprio dal latitante».
Nuovamente fondamentali le intercettazioni che hanno permesso di catturare le affermazioni degli attuali indagati Giuseppe Grillo e Francesco Perre che commentavano proprio quelle perquisizioni volte alla cattura del latitante e dimostravano di essere ben a conoscenza del luogo in cui lo stesso alloggiava.
«Sono stati abbastanza bravi ad arrivarci...». Un'affermazione che per gli inquirenti indicava come il latitante fosse stato effettivamente ospitato dall'indagata.
Intercettazioni che mostrano i dubbi degli indagati su una soffiata anonima: «Glielo hanno indicato i San Luchesi (abitanti del paese di San Luca) ?... gliela facciamo... spaccare la panza...».
Una latitanza, quella di Barbaro, che ha coinvolto anche un’altra indagata che, sempre nel 2017 dava la sua disponibilità ad ospitarlo ulteriormente: «Ah... digli di venire... poverino mi manca».
Un accordo che non si concluse, infatti, è stato accertato che nonostante la disponibilità, in quella specifica circostanza, non era poi stato ospitato.
Donne già coinvolte in altre operazioni. Infatti, insieme alla figlia, nel 2022 è stata arrestata per aver detenuto e trasportato 3,6 kg di cocaina.
La condotta di favoreggiamento, secondo gli inquirenti, si sarebbe concretizzata, dunque, nella messa a disposizione in favore del latitante di abitazioni in cui egli dimorava per brevi periodi, con l’intento di continuare a permanere nel territorio di Platì e dei comuni limitrofi e sfuggire alla cattura da parte delle Forze dell'Ordine.