L’attivista iraniana

«Già dimagrita 14 chili, ora farà lo sciopero della fame»: la protesta della presunta scafista in carcere a Castrovillari

Preoccupano le condizioni di Maysoon Majidi, detenuta da 5 mesi anche se alcune testimonianze la scagionerebbero. Il suo avvocato: «Sta sperimentando un tipo di giustizia che ritiene sia peggio di quella con cui è stata perseguitata in patria»

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di Antonio Clausi
27 maggio 2024
17:21

«È già dimagrita 14 Kg, adesso mi ha comunicato di voler iniziare anche lo sciopero della fame». L’avvocato Giancarlo Liberati non nasconde la sua preoccupazione per Maysoon Majidi, l’attivista iraniana detenuta da cinque mesi nel carcere di Castrovillari perché accusata, in sostanza, di essere una scafista. Provata fisicamente, pertanto, ma soprattutto psicologicamente perché fatica a comprendere le motivazioni per le quali, in presenza di dichiarazioni che la scagionano, debba attendere il processo dietro le sbarre.

«Sta sperimentando un tipo di giustizia che ritiene sia peggio di quella con cui è stata perseguitata in patria - spiega ancora Liberati -. Mi ha espresso forti perplessità per quanto sta accadendo e mi ha evidenziato che in Iran è stata picchiata e trattenuta in carcere 21 giorni. In Italia non ha subito violenze, ma è privata della libertà ormai da dicembre. Mi ha parlato del caso di Ilaria Salis, accusata di aver partecipato ad un’azione violenta in Ungheria e ora ai domiciliari. “Io non ho fatto nulla e sono in questa situazione, non è giusto” ha detto Maysoon».


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L’attivista, nell’interrogatorio di garanzia durato 10 ore, ha chiarito le dinamiche del suo viaggio fornendo una serie di dettagli che gli inquirenti non hanno ritenuto sufficienti. Nelle carte dell’inchiesta la si accusa di aver distribuito acqua, il poco cibo a disposizione e di aver cercato di mantenere la calma laddove possibile: la sua naturale inclinazione ad aiutare il prossimo secondo il fratello, l’associazione che ne perora la causa e il suo avvocato. Qualcosa invece su cui andare fino in fondo in regime di detenzione per la magistratura, che poggia le deduzioni anche sulle dichiarazioni verbalizzate dai migranti.

Due su settantasette per l’esattezza, i quali, nei giorni scorsi, da lontano, hanno puntualizzato in maniera netta la propria versione. Non lo fecero però a marzo, durante l’incidente probatorio. Nel corso dell'udienza si scoprì, infatti, che non era stato possibile ascoltarli perché avevano lasciato l'Italia per la Germania e il Regno Unito. «Non è il momento di criticare l’inefficienza dell’apparato giudiziario italiano - aggiunge Liberati - ma avevamo fornito indirizzi e numeri di telefono. Ora che la posizione sembra essersi affievolita, speriamo nei domiciliari. Abbiamo anche individuato un luogo idoneo».

Sono stati Mediaset e il programma “Le Iene” a rintracciare i due “compagni di viaggio” e a registrare dei video con cui scagionano Maysoon Majidi. «Non ho mai detto che aiutò il comandante di quel barchino a raggiungere le coste della Calabria e non ho mai sostenuto che fosse sua complice» ha dichiarato uno dei due. «Maysoon era un passeggero come gli altri, non c’entrava nulla con il capitano» ha aggiunto l’altro. Il 31 dicembre 2023, la notte dello sbarco, i pubblici ufficiali annotarono tutto il contrario di quanto sostengono adesso.

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Dal canto suo, Maysoon Majidi, quando mise piede sulle coste orientali della Calabria dopo un viaggio da incubo e costosissimo, urlò alla Guardia Costiera: «Sono una rifugiata politica». E alzò le mani. Non fu sufficiente perché fu arrestata a Crotone con l’accusa di favoreggiamento all'immigrazione clandestina. Lo Stato Italiano sospetta di lei che sia una scafista, mentre in patria è considerata un’oppositrice, una persona non gradita a Teheran, perché difende i diritti civili, i diritti delle donne e parla di emancipazione sociale e culturale. È per questo che decise di scappare dagli Ayatollah insieme a suo fratello.

Maysoon lasciò l’Iran nel 2019 dopo aver partecipato alle proteste contro il regime dove morirono oltre 1.500 persone. Le toccarono torture atroci. Arrivò nel Kurdistan iracheno continuando il suo attivismo, ma fuggì di nuovo perché anche lì perseguitata e per questo si imbarcò per raggiungere l'Europa. Detenuta nel carcere di Castrovillari, forse più di una lunga e ingiusta pena, l’incubo della giovane è il rimpatrio. Il rischio che correrebbe sarebbe altissimo. «Per lei – conclude l’avvocato Liberati - si sta muovendo il mondo. Siamo in contatto con varie Ong e con Amnesty International. Spero che il Tribunale del Riesame di Catanzaro, a cui presenteremo una nuova istanza, si renda conto dello stato dell’arte».

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