L’altra faccia della medaglia

Ecco quanto costano le barche dei migranti che il Tribunale “regala” alle associazioni No profit. Ma nessuno le vuole

Velieri, catamarani, pescherecci. Sono le imbarcazioni rubate e usate per raggiungere le coste calabresi attraverso la rotta turca. Gli uffici giudiziari di Locri hanno realizzato una pagina web per assegnarle a chi ne fa richiesta ma la procedura burocratica è estenuante e i costi per mantenerle sono molto alti

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di Vincenzo Imperitura
10 gennaio 2024
06:15

Varate per solcare le rotte turistiche più gettonate e registrate sempre più spesso in Stati dalle maglie fiscali molto larghe (come il Delawere, negli Stati Uniti). Generalmente rubate dalle organizzazioni criminali (principalmente in Croazia e in Montenegro) e utilizzate per i viaggi della speranza dei migranti sulla rotta turca, prima di finire (sempre più frequentemente) col marcire sulle spiagge e sulle banchine dei porti calabresi, senza che si riesca, se non in pochi casi, a restituirle alla comunità. E anche quando ci si riesce, superando una burocrazia elefantiaca, può capitare che la stessa barca, appena assegnata, venga restituita dall’associazione che l’aveva ricevuta, a causa degli alti costi di gestione del bene.

La storia delle barche utilizzate per il trasporto dei migranti – spesso moderni monoalberi e splendidi catamarani destinati in origine al turismo di lusso – si muove tra mille difficoltà e ricalca, almeno dal punto di vista delle poche assegnazioni a fronte dei numerosi sequestri, l’altrettanto irrisolto problema dei beni confiscati al crimine nostrano, la cui riassegnazione alla società civile avanza con percentuali da prefisso telefonico. 


Molti di questi vascelli si possono vedere sulle spiagge dello Jonio, da nord a sud: piccoli puntini terminali sulla mappa delle migrazioni, arenati dopo uno sbarco autonomo o trasportati vuoti dal mare dopo un salvataggio a largo. A volte restano sulle spiagge per anni in attesa dell’intervento delle ruspe, come a Riace e a Monasterace, con i bagnanti che stendono gli asciugamani solo un po’ più in là dal relitto. Altre volte diventano bersaglio di vandali e piromani. Altre ancora, come a Brancaleone nella scorsa estate, l’intervento di rimozione è diventato motivo di furente scontro politico, visto che le ruspe, che erano intervenute direttamente sulla battigia per rimuovere gli scafi di due monoalberi, non avevano usato particolare attenzione su un tratto di spiaggia in teoria “blindato” dalla riserva marina.

Il più delle volte però, le barche, dopo essere state svuotate del loro carico umano, vengono trainate dalle motovedette di capitaneria e guardia di finanza, e finiscono con il riempire le banchine dei porti della costa orientale della Calabria, principalmente a Roccella e Crotone, in attesa di essere riassegnate o, nella maggior parte dei casi, di essere mandate al macero. Un’attesa che può durare anche diversi anni. All’interno del porto delle Grazie di Roccella attualmente sono una decina i barconi ancora in acqua: due di essi sono andati a fondo il giorno di Capodanno – i due relitti saranno recuperati dal fondale del porto nei prossimi giorni – dopo un incendio scoppiato all’alba. Uno di questi barconi, il “Felicia”, un veliero monoalbero di circa 15 metri, era stato da tempo destinato alla distruzione dopo che la domanda di un’associazione che ne aveva richiesto l’assegnazione era stata respinta.

Attualmente sono 7 le barche che le associazioni No profit possono richiedere per l’assegnazione. Il Tribunale di Locri, unico a farlo in Calabria, si è dotato persino di una pagina internet per pubblicizzare questa possibilità, ma i numeri restano bassi e, delle sette proposte, solo due sono le imbarcazioni affidate in via provvisoria. Per le altre, i termini sono già scaduti.

Si tratta della “Mirielle” - un catamarano utilizzato per lo sbarco del 23 luglio e valutato, viste le buone condizioni, in 200mila euro - e un monolabero senza nome di 14 metri di lunghezza, usato per lo sbarco di due giorni dopo, e stimato dal tribunale in 130mila euro.

Il resto dei natanti, compreso un grosso peschereccio di 25 metri valutato 90mila euro, finirà - tra i mugugni della società partecipata che gestisce il porto - per affollare posti barca che non potranno essere venduti e che, temono dagli uffici amministrativi della Porto delle Grazie, finirà a lungo andare per danneggiare l’immagine del porto stesso. 

Sono tanti i fattori che rendono difficile aggiudicarsi una di queste barche. Innanzitutto la lentezza elefantiaca delle procedure che, per evitare che i beni possano tornare nelle mani dei trafficanti, prevedono un accurato controllo di ogni membro dell’associazione che ne fa richiesta. Una procedura dai tempi dilatati che spesso si conclude quando le stesse barche sono ormai state destinate alla distruzione.

Le stesse associazioni poi, che per essere ammesse devono rispondere a determinati requisiti (sociali, di rispetto e tutela dell’ambiente, educativi) non possono utilizzare il bene stesso per produrre reddito. Situazione che ha portato ad un autentico paradosso: alcune imbarcazioni che erano state assegnate in via provvisoria infatti sono state riconsegnate all’autorità giudiziaria per via degli alti costi di gestione che comporta un bene come una barca a vela. Tra le banchine del porto di Roccella sono almeno tre i natanti che, negli ultimi tempi, sono stati restituiti allo Stato.

«In alcuni casi sono i costi altissimi per rimettere in sesto le barche – dice Arturo Guida, presidente della Lega navale di Locri – che dopo essere state riempite all’inverosimile di persone e dopo avere affrontato un viaggio di diversi giorni in mare, sono rimaste “parcheggiate” in attesa per mesi, a volte per anni. Altre volte sono i costi di gestione ordinaria a fare paura.  Per una barca di 15 metri a Roccella si pagano più di 4mila euro l’anno. Noi ce ne siamo viste assegnare tre dal Tribunale di Locri negli ultimi due anni: le usiamo per iniziative con i bambini e con associazioni come Wwf e Legambiente. Di queste però solo una è ormeggiata a Roccella grazie allo sforzo dei soci che si autotassano per coprire le spese ordinarie. Dalla società che gestisce il porto non abbiamo avuto nessuna mano tesa verso le nostre richieste. Le altre due sono attualmente ormeggiate in altri porti, “ospiti” di amici che ci hanno ceduto il loro posto».

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