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Aveva saldato i conti con la giustizia. Pagato il suo debito con quello Stato che avrebbe dovuto “rieducarlo” e provvedere al suo reinserimento nella società. Ed invece, una volta uscito dalla galera, M. B., 39 anni, non era più lo stesso: smagrito, con poche forze in corpo, lo sguardo meno vivo del solito. Una condizione che aveva messo subito in allarme i suoi familiari. Si pensava agli effetti collaterali di una detenzione durata cinque anni, ai postumi di un digiuno volontario iniziato nel maggio 2015. Invece non era nulla di tutto ciò. C’era un tumore dentro il corpo di M. B., un brutto male il cui sguardo beffarlo si celava dietro gli occhi felici per una riacquistata libertà. Le metastasi avevano già raggiunto gli organi vitali. Poco o nulla c’era da fare per salvarlo, nonostante i disperati tentativi dei medici di Reggio Calabria e Messina.
Era bastata solo una settimana di permanenza a casa, per rendersi conto della gravità delle condizioni di salute. I familiari dell’uomo si erano rivolti a specialisti il cui responso aveva spezzato qualsiasi sogno di un agognato ritorno alla vita quotidiana: quelle cellule impazzite erano fuori controllo da un pezzo.
È da quel momento, iniziato l’estate di un anno fa, che M. B. ha contato i giorni da poter trascorrere con i suoi cari. Sapeva che la separazione da loro, questa volta, sarebbe stata definitiva: niente più colloqui settimanali, niente più telefonate. Anche le sbarre del carcere, i divisori delle sale apparivano meno dolorosi di un futuro che semplicemente non c’era più. Sebbene nel suo fascicolo il “fine pena” fosse già arrivato da un pezzo, M. B. aveva scoperto che per lui era pronto un ergastolo inatteso: quello della morte. Puntualmente inflittogli nel febbraio scorso, quando il male che si era impadronito di lui, se l’è portato via definitivamente.
A 39 anni, M. B. ha smesso di stringere le mani della moglie e dei due bambini che sperava di poter vedere crescere, dimenticando quell’inciampo giudiziario.
Tuttavia, sebbene il tumore non possa essere certo correlato direttamente alla detenzione, i familiari dell’uomo non vogliono arrendersi. E per questo hanno presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Catanzaro, con cui chiedono che sia appurato se vi siano state delle responsabilità nella vicenda che riguarda il loro congiunto. Si sono affidati all’avvocato Giuseppe Gentile, del foro di Reggio Calabria. Sarà lui a seguire le sorti di questa inchiesta che ora giace sul tavolo del procuratore capo Nicola Gratteri. L’avvocato Gentile ha già annunciato che farà tutto ciò che è nelle sue possibilità affinché si arrivi alla verità. C’è qualcuno che ha commesso un imperdonabile errore, magari non tenendo conto del peggioramento delle condizioni di salute di M. B.? Si poteva intervenire con tempestività, somministrando farmaci adeguati e cure corrette per sconfiggere quel male? Le indagini sono affidate al Nucleo investigativo Sanità e Ambiente della sezione di polizia giudiziaria di Catanzaro. Toccherà a questi specialisti far luce su un decesso avvenuto a pochi mesi dalla scarcerazione. Un decesso che ha gettato nello sconforto una moglie e due bambini, desiderosi soltanto di ricostruire una vita assieme ad un uomo che aveva commesso degli errori, ma dai quali intendeva ripartire per tornare a pieno titolo in un mondo lasciato troppo presto.
Consolato Minniti