Lamezia Terme

«I Perri non hanno agevolato le aziende della cosca Iannazzo»: la Corte d’Appello conferma il dissequestro dei beni

Rigettato l’appello proposto dalla Procura. Per i giudici di secondo grado la scelta della Deltavi per la realizzazione del centro commerciale Due Mari è dovuta soltanto all'analisi del preventivo 

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di Alessia Truzzolillo
22 maggio 2024
13:50
Il centro commerciale Due Mari
Il centro commerciale Due Mari

La Corte d’Appello di Catanzaro, sezione misure di prevenzione – Antonio Battaglia presidente, Abigail Mellace e Paola Ciriaco consiglieri – ha rigettato l’appello proposto dalla Procura confermando il decreto di rigetto di confisca che era stato emesso nei confronti degli imprenditori lametini Francesco Perri, Marcello Perri e Pasqualino Perri. Resta dunque confermato il dissequestro e la restituzione di quanto in sequestro agli imprenditori.
La vicenda, cronologicamente, ha inizio il 27 gennaio 2022 quando il Tribunale di Catanzaro aveva parzialmente accolta la richiesta di sequestro di alcuni beni riconducibili ai fratelli Perri.
In seguito, il 15 maggio 2023, il Tribunale ha rigettato la proposta di applicazione della misura di prevenzione personale avanzata nei confronti di Perri Francesco, Perri Marcello, Perri Pasqualino, nonché la proposta di confisca dei beni ad essi riconducibili, disponendo il dissequestro e la restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto.

Nelle motivazioni di questa decisione, i giudici rilevano che «dalla documentazione e dagli atti allegati alla proposta, emergeva come la pericolosità sociale dei fratelli Perri veniva fatta discendere dalla pericolosità qualificata riferibile al padre Antonio Perri, a decorrere dal 1985 al 2003, anno in cui egli rimaneva vittima di omicidio. Secondo la prospettazione accusatoria Antonio Perri era legato alla famiglia ‘ndranghetistica dei Cannizzaro, ed in seguito, dopo la morte di Domenico Cannizzaro, aveva stretto legami con la cosca Iannazzo. Dopo la morte del padre, Francesco Perri aveva assunto la guida delle società, unitamente ai fratelli Marcello e Pasqualino, che avrebbero comunque mantenuto un ruolo di secondo piano; anche Francesco Perri viene delineato come imprenditore di riferimento della cosca Iannazzo, così come emergente dagli atti» del processo Andromeda dal quale in primo grado Francesco Perri è stato assolto «per non aver commesso il fatto». In quella occasione, dunque, il Tribunale aveva rigettato la la richiesta di applicazione di misura personale, nonché quella patrimoniale escludendo che «i fratelli Perri potessero essere iscritti nella fattispecie di pericolosità».


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L’appello della Procura: i Perri protetti dalla cosca Iannazzo

A questa decisione aveva fatto appello la Procura di Catanzaro ricostruendo «la genesi del patrimonio acquisito dalla famiglia Perri, formatosi anche grazie alle attività svolte dai fratelli Francesco, Pasqualino e Marcello, odierni proposti; essi, infatti, risultavano già titolari di imprese anche prima della morte del padre. Metteva, altresì, in evidenza la sproporzione patrimoniale, che riscontrerebbe le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, in particolare Gennaro Pulice, che vedono Francesco Perri come soggetto intraneo alla cosca Iannazzo, nonché come imprenditore di riferimento del clan».
La cosca si sarebbe inserita, secondo la Dda di Catanzaro, «negli affari del gruppo Perri mediante imprese riconducibili alla criminalità organizzata e comunque mediante l’assunzione di soggetti vicini alla cosca Iannazzo; disponibilità manifestata da Francesco Perri nei confronti della cosca Iannazzo nel fornire risorse finanziarie, per come si evince dalle intercettazioni riportate; tentativo di gambizzazione di Perri Marcello che sarebbe stato commissionato da Francesco Perri; trafugamento della bara di Antonio Perri; eliminazione della concorrenza anche mediante l’intervento della consorteria mafiosa. Da ultimo, si metteva in evidenza l’esponenziale crescita del gruppo dopo la morte di Antonio Perri, grazie alla protezione della cosca Iannazzo».

Accusa e difesa

Per queste ragioni l’accusa chiedeva il sequestro e la confisca dei beni nella disponibilità degli imprenditori lametini.
La difesa – rappresentata dagli avvocati Aldo Ferraro e Salvatore Staiano per Francesco Perri, dall’avvocato Giuseppe Mussari per Jessica Perri, dall’avvocato Francesco Gambardella per Pasqualino Perri, dall’avvocato Michele Cerminara per Marcello Perri e dall’avvocato Aldo Ferraro per Antonella Perri, Franca Fazzari e tutte le società del gruppo Perri – ha chiesto il rigetto dell’appello richiamando gli esiti del procedimento penale “Andromeda” che aveva escluso l’intraneità alla cosca Iannazzo di Francesco Perri.

La Corte d’Appello: «Nessuna agevolazione per le aziende Iannazzo»

La Corte d’Appello ha ritenuto ammissibile l’appello avanzato dal pubblico ministero.
Per quanto riguarda la presunta intraneità di Francesco Perri alla cosca Iannazzo, i giudici rimarcano il fatto che le dichiarazioni di Gennaro Pulice siano state ritenute dal Tribunale di Lamezia Terme «alquanto generiche, rimaste prive di riscontri».
Per quanto riguarda l’inserimento della cosca negli affari del gruppo Perri mediante imprese riconducibili alla criminalità organizzata «non si rinviene alcun elemento tale da potere ritenere che i Perri abbiano voluto agevolare le aziende della cosca rispetto ad altre imprese sul mercato, trattandosi di soli due fornitori tra le oltre 1000 imprese che hanno avuto rapporti commerciali con il gruppo; né è possibile ritenere che le stesse siano state scelte o preferite rispetto ad altre proprio in ragione della loro appartenenza alle famiglie mafiose, avendo la difesa fornito delle plausibili ragioni alternative ai detti rapporti commerciali».

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I lavori al figlio di Vincenzino Iannazzo perché il preventivo era più vantaggioso

«Allo stesso modo, la pubblica accusa – scrivono i giudici d’appello – fa riferimento ai lavori edili eseguiti presso il Centro Commerciale i “Due Mari” dalla Deltavi Costruzioni s.r.l. di Pietro Iannazzo, figlio di Vincenzino, capo della cosca. Sul punto, si condividono le argomentazioni del Tribunale, secondo cui la scelta della società in questione è avvenuta non per favorire la cosca, bensì per le specifiche competenze e per il corrispettivo praticato; si trattava, infatti, di società che aveva già svolto rilevanti lavori all’interno del Comune di Lamezia Terme, e che aveva presentato un preventivo che, se paragonato con quelli proposti dalle altre aziende, era risultato più vantaggioso». Riguardo l’assunzione di soggetti vicini alla cosca Iannazzo, la Corte ha ritenuto che le persone indicate avessero o «beneficiato di una borsa di studio erogata dalla Regione Calabria» o «vantavano una lunga esperienza nell’abito del settore della grande distribuzione»

La vicenda Fiat

Per quanto riguarda la vicenda Fiat, si tratta dell’acquisto da parte di Perri di un immobile ove prima era insediata la Fiat ed i lavori che sono stati eseguiti. Sul punto, i collaboratori riferiscono circa un interessamento della famiglia Iannazzo allo svolgimento dei lavori edili. I lavori non furono mai eseguiti a causa degli arresti che hanno interessato alcuni esponenti del clan.
In questa vicenda, dice la Corte, «non emerge che Perri sia stato compulsato dalla cosca Iannazzo per l’acquisto dell’immobile, ma solo un successivo interessamento allo svolgimento di lavori, poi mai eseguiti».

Le risorse finanziarie elargite ai Iannazzo

L’accusa ha messo in evidenza la «disponibilità manifestata da Francesco Perri nei confronti della cosca Iannazzo nel fornire risorse finanziarie».
Ma secondo i giudici d’appello dalle intercettazioni emergerebbe come in alcune occasioni Vincenzino Iannazzo si sarebbe rivolto a Franco Perri per cambiare degli assegni ma dall’altro lato verrebbe fuori che lo stesso Iannazzo «sia in difficoltà, non sapendo se rivolgersi al Perri per il prestito di un somma di denaro. Questo è quindi un ulteriore elemento che esclude l’intraneità del Perri al sodalizio, non potendo spiegarsi diversamente le remore manifestate da Vincenzino Iannazzo nell’inoltrare una richiesta di denaro (“a Franco glielo dobbiamo dire?”), circostanza che non si sarebbe verificata se l’imprenditore fosse stato pacificamente considerato “la cassa” della cosca».

Questo ed altri elementi escluderebbero la pericolosità sociale di Franco Perri. Per quanto riguarda i fratelli Marcello e Pasqualino «la Procura si limita ad affermare la loro presenza all’interno della compagine societaria già all’epoca in cui il padre Antonio era in vita - negli anni ’80 - con ciò trascurando la circostanza per cui in quegli anni essi erano poco più che bambini».

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