Processo di revisione

Gli stupri del branco di Melito: e se quei due condannati fossero innocenti?

Il giudizio si aprirà il 16 giugno davanti alla Corte d’Appello di Catanzaro. Gli avvocati Lauria e Vazzana parlano di «clamoroso errore giudiziario» e producono nuove prove a sostegno dell’impugnazione straordinaria nell’interesse di Lorenzo Tripodi e Michele Nucera (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Pietro Comito
27 maggio 2023
15:02
Corte d’Appello di Catanzaro, nei riquadri Lorenzo Tripodi e Michele Nucera
Corte d’Appello di Catanzaro, nei riquadri Lorenzo Tripodi e Michele Nucera

Facevano davvero parte del branco di Melito Porto Salvo? E se invece quei due fossero davvero innocenti? Condannati in via definitiva per il più odioso dei reati, lo stupro di gruppo della ragazzina la cui storia riempì i rotocalchi di cronaca italiana, sosterranno il giudizio di revisione: inizierà il 16 giugno, davanti ai giudici della Corte d’Appello di Catanzaro. «Siamo convinti dell’innocenza dei nostri assistiti», dicono gli avvocati Baldassarre Lauria e Maria Domenica Vazzana, che hanno redatto la richiesta di revisione della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria il 4 novembre 2020, e resa irrevocabile dalla Corte di Cassazione il 3 marzo 2022, a carico di Lorenzo Tripodi e Michele Nucera, 27 e 28 anni, entrambi di Melito Porto Salvo, condannati entrambi alla pena di 6 anni di reclusione perché riconosciuti colpevoli di violenza sessuale di gruppo. Pene ancora più pesanti erano state inferte a Davide Schimizzi, 10 anni, Giovanni Iamonte, 8 anni e 2 mesi di reclusione, e Antonio Verduci, 6 anni e 6 mesi.

Una verità diversa?

«Abbiamo esaminato con molto scrupolo e attenzione le nuove prove e non abbiamo alcun dubbio, Lorenzo e Michele sono vittime di un clamoroso errore giudiziario che va al più presto corretto», dicono i due penalisti che rappresentano l’associazione Progetto innocenti, organizzazione non governativa che si occupa di presunte vittime di errori giudiziari. Il successo più significativo fin qui ottenuto, la revisione della condanna all’ergastolo e l’assoluzione di Giuseppe Gulotta, a 36 anni dalla strage di Alcamo.


I difensori di Tripodi e Nucera introducono significativi elementi di novità: nuovi testimoni, intercettazioni inedite, una consulenza informatica sul computer della ragazza vittima delle violenze che, almeno per ciò che concerne i due imputati, farebbero emergere «una verità diversa da quella fin qui accertata». A corroborare l’impianto difensivo imbastito dagli avvocati Lauria e Vazzana, un pool di noti consulenti tecnici: la criminologa Roberta Bruzzone, l’esperto tecnico informatico Paolo Reale e il perito fonico forense Gabriele Pitzianti.

«Errore ricostruttivo»

La difesa di Tripodi e Nucera ammette preliminarmente come «i fatti oggetto della sentenza di condanna, ora oggetto di revisione, maturano, all’evidenza, in un contesto socio-culturale molto degradato». Il capo branco sarebbe stato Davide Schimizzi, fidanzato, già maggiorenne della ragazzina, che per tenerlo legato a sé e farsi «perdonare» delle «distrazioni» delle quali era colpevolizzata, sarebbe stata indotta a soddisfarne le fantasie sessuali, anche con l’uso di una violenza fisica, coinvolgendo gli amici in stupri di gruppo. Ma – sostiene la difesa di Lorenzo e Michele nell’istanza di revisione, in relazione alla posizione dei propri assistiti - «le nuove prove svelano l’errore ricostruttivo del fatto storico compiuto dai giudici della cognizione».

La giovanissima vittima avrebbe riferito - affermano gli avvocati Lauria e Vazzana nell’istanza che adesso approda davanti ai giudici di Catanzaro - circostanze non aderenti alla realtà, prima nelle sommarie informazioni rese davanti agli inquirenti, poi in sede di incidente probatorio, conducendo così ad una sentenza di colpevolezza anche nei confronti dei due giovani che auspicano la revisione. I fatti oggetto delle imputazioni, emersi nel 2016, quando la madre della vittima avrebbe appreso dell’esistenza di un tema dal contenuto allarmante scritto a scuola dalla figlia, risalgono al 2013 (ma la difesa documenta invece come siano accaduti nel 2014 «con conseguente superamento dell’età soglia di 14 anni ai fini della libertà di autodeterminazione sessuale»). «La lettura degli atti investigativi compiuta dal giudice di merito - sostengono i legali - attribuisce all’anzidetto elemento la rappresentazione del dramma della ragazza, gli abusi sessuali che fu costretta a subire. Interpretazione che, alla luce del novum, di disvela completamente errata, giacché in detto elaborato la ragazza muove un rimprovero ai genitori per aver deciso di separarsi, ma non svela alcun abuso di natura sessuale».

Le intercettazioni

La tesi dei difensori è che la ragazzina, poco più che una bambina, vivesse un disagio che non c’entrasse con gli incontri a sfondo sessuale avuti con i due imputati i quali, pur presenti o partecipi, non avrebbero usato alcuna violenza, peraltro neppure percepita dalla vittima, che sarebbe stata indotta dalla famiglia a denunciare, come – è sempre la valutazione degli avvocati di Tripodi e Nucera – emergerebbe da alcune intercettazioni non apprezzate dai giudici di Reggio Calabria. In una ad esempio, un amico della ragazza, la rimproverava in questi termini: «Hai messo in mezzo quegli altri ragazzi che non c’entravano nulla… Hai fatto quello che hai voluto fare, nessuno ti ha forzato». La vittima replicava: «Appunto». Un’altra sarebbe, in chiave difensiva, ancora più preziosa: intercorreva tra il padre della vittima ed un dei condannati in via definitiva per gli stupri di gruppo, Antonio Verduci. Il genitore, in quella conversazione, ammetteva: «Ti ripeto che lo so che Tripodi non c’entra nulla». Su tutto il compendio intercettivo, relazionerà l’esperto fonico Gabriele Pitzianti, che sarà il primo a deporre davanti alla Corte d’Appello di Catanzaro sin dal 16 giugno.

Le altre perizie

La sua relazione si affianca a quella di Roberta Bruzzone, la criminologa che ha valutato i profili personologici della vittima che avrebbero inficiato «irrimediabilmente il giudizio circa la capacità a testimoniare e la pertinente affidabilità delle sue dichiarazioni», non condividendo così l’assunto della professionista incaricata dal Tribunale di Reggio in base al quale la minore avrebbe un «funzionamento affettivo di tipo dipendente rispetto alle figure abusanti». Tra gli elementi di novità, anche una perizia della Dpi Investigazioni sul funzionamento della chiusura dell’autovettura Hyndai Getz teatro di uno degli abusi di gruppo. Secondo la vittima delle violenze, sarebbe stato Tripodi ad impedirle di scendere dall’auto, chiudendo lo sportello con le sicure dall’interno. L’elaborato attesterebbe, invece, come quel modello di vettura «non avesse la chiusura decritta» dalla parte offesa. Ulteriore carta a disposizione del giudizio di revisione, la consulenza dell’informatico forense Paolo Reale, che ha recuperato tutta una serie di file cancellati dal pc della ragazzina, tra cui una conversazione tra la vittima e l’imputato Nucera. «Il tenore della conversazione appare, francamente, smentire – scrive la difesa nella sua istanza – la riferita esperienza di prevaricazione sessuale».

Errore giudiziario?

Resta, quella oggetto di questa vicenda, una storia agghiacciante, nella quale oltre ad una vittima accertata, la ragazzina ora divenuta maggiorenne, aleggia adesso il dubbio possano esisterne altre due: quei due giovani riconosciuti, come gli altri, colpevoli degli stupri di gruppo, e quindi di aver fatto parte del branco di Melito. Saranno i giudici di Catanzaro a stabilire se c’è stato errore giudiziario oppure no.

Giornalista
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