«Io, quando posso, scendo in Calabria, non solo perché ho gli affetti, ma perché voglio tenere i contatti con la mia terra. Sono stato costretto ad andare via dalla Calabria perché più di otto anni non si può stare nello stesso posto, altrimenti sarei rimasto. E quindi, come posso, voglio continuare a parlare ai calabresi, a raccontare storie, a trasmettere fiducia e a chiedere ancora di non mollare, di fidarsi dei miei colleghi, di fidarsi delle forze dell'ordine. Perché non c'è scampo, non c'è soluzione, se non denunciare, se non fidarsi e fidarci tra di noi».

Il procuratore Nicola Gratteri torna in Calabria e lo fa lanciando un messaggio ben preciso proprio mentre è in atto un attacco alla magistratura non indifferente. E mentre si trova a Laureana di Borrello per raccontare la parte sana e bella della sua terra, non cela il momento di difficoltà che la magistratura sta vivendo. E non manca uno sguardo interno a tratti autocritico.

«C'è soprattutto una cattiva informazione. I magistrati, nel corso dei decenni, non hanno saputo rinnovarsi, non hanno saputo raccontare, e hanno usato – o continuano a usare – un linguaggio tecnico-giuridico incomprensibile ai più. La controinformazione è molto forte e molto potente: hanno a disposizione giornali e televisioni. E quindi i magistrati, anche da questo punto di vista, devono rinnovarsi, devono iniziare a comunicare meglio, perché altrimenti passa un solo messaggio: che tutti i mali della giustizia siano colpa dei magistrati».

Anche qui, in provincia di Reggio Calabria, si sta portando avanti con insistenza il progetto di aprirsi alla cittadinanza. Per il procuratore Gratteri, però «deve cambiare il modo di narrare. Il magistrato deve uscire dalla torre d’avorio, deve misurarsi con la gente, parlare con la gente, essere sempre disponibile al confronto e parlare con chiarezza. Perché si andrà sicuramente al referendum, e chi non è d’accordo con questa riforma non ha gli stessi strumenti, gli stessi mezzi televisivi, radiofonici e giornalistici per poter spiegare perché la separazione delle carriere non ha nulla a che fare con il malfunzionamento della giustizia».

Gratteri vuole parlare ai giovani. Sfruttare tutti i canali, anche i social, per arrivare a far comprendere quali sono i reali rischi di una riforma della giustizia che non migliorerebbe le condizioni di un settore realmente in emergenza.

Separazione delle carriere

E sulla separazione delle carriere non ha dubbi. «Loro ritengono che il pubblico ministero e il giudice debbano essere separati nel senso che il pubblico ministero deve uscire completamente fuori dalla giurisdizione e non essere più un magistrato. Questo significa renderlo più debole dal punto di vista organizzativo, perché poi si finirà per metterlo sotto l'esecutivo, quindi alle dirette dipendenze del ministro. E il ministro, ogni anno, potrà dare direttive su quali sono i reati prioritari da perseguire, che potrebbero anche essere reati bagatellari, trascurando invece, per esempio, i reati che riguardano la pubblica amministrazione. Questo è un grave pericolo».

Per il procuratore di Napoli va detto chiaramente che si sta discutendo di «un falso problema, perché già oggi c’è una separazione delle carriere. Ogni anno, solo tre o quattro pubblici ministeri chiedono di diventare giudici, e viceversa. Non penso che per l’1% dei magistrati che vuole cambiare funzione sia necessario modificare la Costituzione. Il fatto stesso che si voglia cambiare la Costituzione per quattro persone l’anno è sospetto».

Per Gratteri non ci sono dubbi: «Le riforme da fare sono altre. Il malfunzionamento del sistema giustizia dipende da ben altro. Si dovrebbe fare sinergia, ridurre o chiudere i tribunali più piccoli e creare tribunali distrettuali con giudici specializzati, come sono le procure distrettuali. E poi ridurre drasticamente i magistrati fuori ruolo, cioè quelli che hanno vinto il concorso per fare i giudici o i pubblici ministeri e invece vengono impiegati altrove».

E la ricetta il procuratore la propone già pronta. Il percorso da seguire sembra chiaro perché «se hai bisogno di un esperto al Ministero degli Esteri, per esempio, non serve un magistrato: prendi un professore di diritto internazionale, che ti costa la metà. Il magistrato deve fare il giudice o il pubblico ministero, non occuparsi di distribuzione di studi di truciolato da 1500 euro. Quindi bisogna iniziare a fare sinergia, e poi fare quelle riforme che servono davvero a velocizzare i processi, senza abbassare il livello di garanzie per imputati e cittadini».

In estrema sintesi Gratteri ha confermato come «in generale, tutte le riforme fatte dai governi Draghi e Nordio, tranne quella sulla cybersicurezza del luglio 2024, sono state inutili se non dannose».

L’amore per la Calabria

Tornando alla Calabria, a Gratteri manca questo territorio e ne conserva la bellezza oltre il male che la attanaglia.

«Io sono nato in Calabria, quindi sono innamorato della Calabria. Il posto dove si nasce è sempre il più bello del mondo, perché è il posto delle radici, della bellezza, degli affetti veri. Le amicizie più sincere sono quelle dell’infanzia, quelle che durano nel tempo. Poi c’è la bellezza della natura, che stiamo conservando con troppa poca cura. La Calabria ha un potenziale inespresso in settori come l'agricoltura e il turismo, ma sconta un enorme ritardo nelle infrastrutture. Su questo bisogna intervenire».

Le elezioni comunali

E sulle prossime elezioni comunali dove diverse realtà non sanno ancora se andranno al voto l’appello è chiaro: «Bisogna tornare alla democrazia, e ora più che mai. Hanno abolito l’abuso d’ufficio, quindi chi prima diceva di non candidarsi per paura della firma ora non ha più scuse. Se quella era davvero la ragione, adesso ci dovrebbe essere la fila per candidarsi nei comuni. Ma il problema è un altro. L’augurio è che la Calabria abbia le stesse infrastrutture che hanno il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Lombardia. Parliamo di autonomia differenziata? Bene, prima dateci le stesse infrastrutture, poi ne parliamo. E lo stesso discorso vale per il Ponte sullo Stretto. Bisogna capire se serve davvero. Prima di tutto, si dovrebbe studiare quante macchine traghettavano sei anni fa e quante l'anno scorso. Se il ponte serve, si fa. Ma non voglio sentire che non si fa per colpa della ’ndrangheta. Se serve, si fa. Alla ’ndrangheta ci devono pensare magistrati e forze dell’ordine».