Il cuoco licenziato vuole rivolgersi ai sindacati, il boss: «Infame, vengo lì e ti infilzo alla testa»
Nell’inchiesta sul clan di Mesoraca c’è posto anche per la presunta estorsione al dipendente di una pizzeria di cui il Mario Ferrazzo è sospettato di essere proprietario occulto (ASCOLTA L'AUDIO)
La dura vita di un cuoco, prima retribuito in nero e poi licenziato ex abrupto. «Vado dai sindacati» tuona lui un bel giorno, deciso ormai a far valere i propri diritti. Di lì a poco, però, per fargli abbassare la testa sarà sufficiente una conversazione telefonica con il suo ingombrante principale: Mario Donato Ferrazzo detto “Topolino”.
Nell’inchiesta antimafia sul clan di Mesoraca si fa largo anche la microstoria del giovane chef ritenuto oggi parte offesa e vittima di estorsione da parte del presunto boss e di suo figlio Francesco. Erano loro i datori di lavoro del cuoco chiamato a gestire le cucine di una pizzeria-griglieria di cui, si ritiene, detengono la proprietà occulta, ma ad aprile del 2017 gli investigatori captano un dialogo che documenta la fine di quel rapporto professionale.
«Ti infilzo alla testa»
«Mi hai lasciato a casa dalla sera alla mattina» si lamenta il dipendente parlando con Francesco Ferrazzo che, di rimando, perde subito la pazienza: «Vedi che vengo lì e ti infilzo alla testa». Il cuoco sembra tutt’altro che intimidito, tant’è che manifesta il proposito di rivolgersi ai sindacati. «Infame» gli ripete più volte Francesco, mentre l’altro si lamenta di «avergli mandato avanti il ristorante da solo» e chiede, anzi pretende, la sua busta paga. «Te la faccio in testa, vuoi vedere?» è la soluzione che gli propone il giovane Ferrazzo prima di invitarlo a recarsi da lui per proseguire il discorso faccia a faccia. Con un’avvertenza: non sarebbero stati soli.
L’intervento del boss
«C’è il papà che aspetta a te. Vieni qua…», sibila Francesco. Per il cuoco cambia tutto da così a così. Fa appena in tempo a replicare «Che c’entra tuo padre, Francè…», che l’apparecchio passa nelle mani dell’importante genitore: «E vai ai sindacati. Che cazzo, io ho paura dei sindacati! Vai…». Da così a così dicevamo, perché il malcapitato chef fa indietro tutta: «Non ho detto così, Zio Mario, non sono state queste le parole mie».
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La retromarcia
E invece erano state proprio quelle. Zio Mario lo sa e lo invita a essere conseguenziale: «Se tu vuoi andare avanti, vai avanti tu che noi veniamo…». All’interlocutore può bastare così. Da quel momento in poi l’intercettazione documenta il tono dolente con cui rappresenta il proprio quadro economico desolante: ha incassato mille e trecento euro, ma ne ha spesi 350 euro di benzina, e adesso si ritrova l’auto con la revisione scaduta e l’assicurazione da pagare. «Non me lo meritavo questo, non me lo meritavo».
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Un finale in gloria
Ferrazzo senior si mostra indulgente - «Vieni qua che ti do cento euro» - ma il cuoco non vuole sentire più ragioni: «Non sono stati mille e trecento euro, per me sono stati quarantamila», e poi ancora: «Il solo fatto di aver conosciuto voi è stato un onore per me». Il boss lo rassicura: riapriranno il ristorante, con una cucina nuova e pure una lavastoviglie all’altezza perché «quella che c’è ora fa schifo», e per lui si apriranno nuove opportunità di guadagno. «Ti prendi pure il bar, ti prendi…». Tutto a posto, dunque, tranne per il fatto che secondo il gip, l’episodio rappresenta un’estorsione sia in punto di diritto che di evidenze indiziarie «per il grave stato di soggezione» causato alla vittima.