Intercettazione choc, il padre al figlio: «Chi siamo?» e lui risponde: «La 'ndrangheta

La conversazione è stata captata nel corso dell’inchiesta “Pugno di ferro” portata a termine dalla Dda di Torino che ha riguardato un gruppo criminale dedito all’usura ed all’estorsione

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di Consolato Minniti
9 ottobre 2019
11:04

«Chi siamo?» chiede il padre al figlio di dieci anni. E lui esclama: «La ‘ndrangheta!». L’assurda intercettazione emerge dall’inchiesta “Pugno di ferro” condotta dalla Dda di Torino che ha sgominato due distinte organizzazioni criminali.

Le due strutture criminali disarticolate

La prima dedita a delitti di associazione per delinquere finalizzata all’usura, alla truffa ed alla truffa aggravata, per il conseguimento di erogazioni pubbliche, alla malversazione a danno dello Stato, all’esercizio abusivo di attività finanziaria, all’intestazione fittizia di beni, al riciclaggio. Questa attività è stata denominata “Criminal consulting”.
La seconda, “Pugno di ferro”, è quella che ha interessato il sorvegliato speciale Renato Macrì, ritenuto esponente della locale di ‘ndrangheta facente capo alla consorteria Ursino-Scali-Macrì di Gioiosa Jonica e dedita all’usura, all’estorsione, al riciclaggio, all’intestazione fittizia di attività finanziarie con l’aggravante del metodo mafioso.


L’intercettazione choc

Ed è proprio nell’ambito di questa seconda attività investigativa che le forze di polizia si sono imbattute nell’intercettazione choc. Si tratta di un uomo che non risulta né arrestato né indagato, ma ritenuto vicino a Renato Macrì. L’uomo si trova al centro di Torino assieme al figlio di appena dieci anni. E così si rivolge al piccolo: «Noi facciamo parte della loro famiglia, non potevamo trovare persone migliori. Perché noi siamo la… noi siamo la?». Alla domanda il ragazzino esclama: «’Ndrangheta!». Alla risposta del figlio, il padre ribatte: «Bello che sei».


Quanto alle ragioni che non hanno portato ad alcuna misura adottata nei confronti dell’uomo, è lo stesso capo della Squadra mobile di Torino, Marco Martino – così come riportato dal Corriere della Sera – Edizione Torino – a rimarcare come «non lo abbiamo fermato perché non basta un video o un audio per dire che uno è un mafioso, occorrono accertamenti. Certo – aggiunge – la scena è rappresentativa di una certa atmosfera criminale che si respira non nel profondo Sud, ma nel centro del capoluogo piemontese».

 

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Giornalista
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