La giovane aveva raccontato pubblicamente di essere una delle vittime, benché il suo caso non fosse riconducibile al food truck Diamante. Da quel momento non riesce più a trovare un’occupazione
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I nostri lettori avevano conosciuto Debora Malvito qualche settimana fa, quando la 24enne, residente a Scalea, aveva deciso di rendere pubblica la sua personale vicenda per mettere in guardia la popolazione dalle intossicazioni alimentari e informare tutti che lei non era tra i clienti del food truck rosso di Diamante divenuto tristemente noto alle cronache. Il clostridium botulinum, il batterio responsabile delle intossicazioni, evidentemente, in quegli stessi giorni, era contenuto in altri alimenti e non solo nei broccoletti sott’olio venduti in Viale Glauco.
Ma tanto è bastato perché per lei si aprisse una nuova parentesi dolorosa. Da quando ha reso pubblica la sua storia, Debora non riesce più a trovare lavoro, perché a suo dire, le persone temono di essere contagiate. Eppure, la giovane risulta ufficialmente guarita e fuori pericolo, benché si trovi ancora a fare i conti con gravi conseguenze di salute.
La drammatica testimonianza
Debora affida nuovamente la sua testimonianza ai social. «L'Estate 2025 si è sfortunatamente distinta per via di intossicazioni alimentari da Clostridium Botulinum in Sardegna e in Calabria. Io sono stata una delle vittime colpite ad agosto dal botulismo alimentare – scrive in un lungo post su Facebook -. No, al food truck non ho acquistato nulla che potessi ingerire perché la mia estate è stata un mordi e fuggi fra casa e lavoro, la classica dipendente stagionale impiegata come cameriera e barista.
Soffro ancora di diplopia, di parestesia e prima di ingerire qualsiasi alimento che non sia una conserva sott'olio, sott'aceto, in salamoia, sottovuoto, mi fermo e penso a ciò che ho trascorso, di quanto mi ha fatto male e di quanto mi abbia stravolta. Il mio rapporto con l'alimentazione è cambiato, non è più lo stesso. Ma non è questo l'argomento di cui voglio discutere.
Non riesco a trovare più lavoro. Provo a cercare, ma non trovo nessun lavoro. Chi mi conosce o chi è venuto a conoscenza del mio sventurato episodio – continua -, teme la mia incolumità, teme che il mio evento possa ripercuotersi su terzi completamente estranei alla mia malattia.
Teme che io possa trasmettere il Clostridium Botulinum, quando l'intossicazione alimentare si trasmette solo ingerendo alimenti contaminati dal batterio e mi viene perfino richiesto un certificato di idoneità a contatto con il pubblico.
È vero, non tutti, non tutte abbiamo abbastanza conoscenze scientifiche da poter riconoscere i rischi e i pericoli ma è opportuno informarsi che il botulismo non è trasmissibile da uomo a uomo come se fosse una pandemia e tantomeno non interferisce con l'idoneità a contatto con il pubblico.
Non abbiate timore. Non abbiate timore di una ragazza di 24 anni che ha conseguito due diplomi professionali, un attestato H.AC.C.P., una patente di guida categorie AM e B, un'infarinatura di esperienze lavorative pregresse.
Non abbiate timore di stringermi la mano, non abbiate timore di una ragazza che è solo tanto fortunata per poterlo raccontare ancora e che nonostante tutto, è entusiasta di ritornare alle proprie abitudini ordinarie.
Non abbiate timore – conclude – del Clostridium Botulinum”.
Una ferita ancora aperta
Tuttavia, Debora, sentita dalla nostra redazione, dice che avrebbe difficoltà a tornare nel mondo della ristorazione. Il suo rapporto con il cibo è cambiato e nel momento in cui ha cominciato a stare male e vedere la morte in faccia, la sua vita è cambiata radicalmente. Quindi, le chiediamo quale sia un lavoro adatto a lei in questo momento: «Qualsiasi – ci risponde –, purché non abbia a che fare con il cibo».