Annullata senza rinvio la decisione della Corte d'Appello di Catanzaro. Accolte le tesi difensive degli avvocati Chizzoniti
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La IV Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione, in accoglimento dell’articolato ricorso elaborato dagli avvocati Aurelio e Steve Chizzoniti, presentato nell’interesse del condannato Franco Giovanni (71 anni), pregiudicato, ristoratore reggino, avverso il provvedimento pronunciato dalla Corte di Appello di Catanzaro, per invocare la revisione della pregressa sentenza di condanna ad anni 11 di reclusione, per associazione per delinquere, traffico di sostanze stupefacenti ed altro, allo stesso inflitta dai giudici reggini, per fatti risalenti all’anno 2004, ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata, che aveva dichiarato inammissibile l’istanza introduttiva. Disponendo, altresì, la trasmissione degli atti della Corte di Appello di Catanzaro per l’ulteriore corso nel merito dell’istanza ex ante depositata.
Trattasi di una storia processuale quanto mai complessa, sostengono gli avvocati Chizzoniti, nella cui cornice si staglia l’iniziale eloquente provvedimento di revoca della misura cautelare in carcere inflitta all’allora indagato Giovanni Franco, assunta dal TDL reggino, nel cui contesto, l’Organo di riesame, senza mezzi termini, evidenzia che “l’istante non compare mai quale diretto colloquiante nell’ambito delle conversazioni intercettate”, nella cui ottica, lo stesso Collegio, aggiunge di avere accertato “l’assoluta difficoltà di rinvenire un collegamento certo fra Franco Giovanni e l’attività illecita del gruppo cautelato, sicuramente estraneo all’illecito consumato da altri familiari dello stesso”. Il ricorrente, sentendosi abbondantemente tutelato dall’imponente provvedimento ultrafavorevole disposto dal TDL, aveva optato per il rito abbreviato visto che l’incarto processuale non aveva registrato alcuna novità. Il gup però, entrando in conflitto con il TDL che aveva operato l’unica revoca fra i numerosi indagati arrestati, addebitò al Franco la responsabilità di non aver comunque fornito “una chiave di lettura alternativa all’elemento cardine dell’accusa”, che lo vedeva quale finanziatore dell’associazione per delinquere.
Franco, però, aveva da sempre sostenuto di essere completamente estraneo ai fatti contestati, aggiungendo di aver dato circa quattromila euro ad un proprio congiunto perché pagasse per contanti una partita di pesce per il ristorante agli abituali fornitori che operavano nella città di Milazzo, però pagati con un assegno, non andato a buon fine che il familiare del Franco aveva monetizzato ad un altro coimputato dei fatti delittuosi. Determinando la legittima reazione dei fornitori di prodotti ittici. Tutte le circostanze che precedono sono state abbondantemente acclarate dagli Avv.ti Aurelio e Steve Chizzoniti, attraverso approfondite indagini difensive affidate al Dott. Carmelo Longo, che hanno confermato la condotta adamantina del condannato Franco. L’istanza di revisione, ultradocumentata, però è stata disattesa dalla Corte di Appello di Catanzaro, con riferimento all’esame di persone, ritenute erroneamente imputate in procedimenti connessi, chiedendosi, altresì, “per quale ragione tale dichiarazione siano state tardivamente rese”, aggiungendo la presunta, dubbia attendibilità dei testi escussi “uno dei quali è il figlio del condannato con sentenza definitiva”.
Gli avvocati difensori insorgevano avverso detta pronuncia eccependo in Cassazione un clamoroso “errores in iudicando”, sfociato nella sostanziale “mancanza di motivazione, deducendo che il Supremo Collegio, versando in tema di “error in procedendo”, è anche giudice del fatto, per cui può accedere agli atti processuali, attesa la manifesta illogicità della motivazione, invocando il dovere della Corte regolatrice di osservanza all’obbligo di “fedeltà al processo”. Evidenziando, altresì, l’attualità devastante della pronuncia ex ante adottata dal TDL, fra l’altro, mai impugnata dalla Procura della Repubblica reggina. Stigmatizzando, ultra vires, quanto argomentato dalla Corte di Appello di Catanzaro che ha ritenuto che “la richiesta di assunzione di testimonianze avrebbe potuto essere avanzata nel corso del giudizio già svolto”, circostanza che gli Avv.ti Aurelio e Steve Chizzoniti hanno ritenuto in conflitto con la previsione di cui all’art. 24 della Costituzione, che resta un imponente “diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, sicuramente sottratto a qualsivoglia step temporale volto a sterilizzarne la solenne previsione. La Corte Suprema di Cassazione ha condiviso queste ed altre censure tecniche, rispettosamente sollevate dagli avvocati Aurelio e Steve Chizzoniti, annullando senza rinvio l’ordinanza impugnata.