La trasformazione dei clan secondo il 53enne di Platì: «Dal 2008 avete arrestato 500 affiliati, ma avete visto chi erano?». Nei verbali la conferma dell’esistenza di un livello “riservato” già emerso in inchieste e sentenze
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Nello scorso mese di gennaio ha fatto sapere di non essere più un pentito. Rosario Barbaro ha affidato il proprio ripensamento a poche righe diffuse da un legale e finite sulle pagine web: «Non sono più un collaboratore di giustizia per motivi e ragioni che al momento non intendo spiegare e sui quali mi riserverò in seguito di entrare nel merito». In circa quattro anni, però, il figlio di Domenico l’Australiano di verbali ne ha riempiti. Lui, nato a Platì 53 anni fa ma vissuto a Buccinasco, enclave del clan nei pressi di Milano, racconta cosa è diventata la ’ndrangheta dal suo punto di vista privilegiato, quello di un uomo che riconosce le radici delle cosche in Calabria ma narra una metamorfosi che le rende quasi irriconoscibili.
La criminalità organizzata calabrese al Nord ha cambiato pelle, le vecchie ’ndrine sono state messe da parte e gli affari veri vengono affidati a un gruppo che somiglia più a un club riservato o a una super loggia massonica. Una nuova struttura sconosciuta anche a chi si reputa uno ’ndranghetista.
Non è la prima volta in cui questo tipo di visione fa capolino tra brogliacci e faldoni. Barbaro, in un interrogatorio anticipato dal Fatto Quotidiano, ribadisce il concetto: dice che c’era «una struttura di ‘ndrangheta però sta cosa qua è stata un po’ mollata (…) perché c’erano troppe persone”, perché “poi è diventato ‘chiunque l’affiliato’, chiunque sparava danni, chiacchiere (…). Troppi arresti per la ‘ndrangheta, c’erano persone che non c’azzeccavano niente proprio». Il ragionamento di chi comandava per davvero sarebbe stato quello di lasciare questa messe di affiliati «a giocare con la ’ndrangheta» mentre i capi sarebbero ripartiti. «Ricominciamo da capo», avrebbero detto, «e rifacciamo tutto nuovo».
«Avete arrestato 500 affiliati, ma avete visto chi erano?»
Barbaro, in un interrogatorio del 2023 finito agli atti di uno dei filoni dell’inchiesta Equalize, spiega al pm antimafia: «non le sto dicendo che non esiste la ’ndrangheta», ma quelli come lui - quelli per i quali «vale il nome» - non hanno bisogno di sbandierare l’affiliazione. Tutti gli altri, invece, contano poco secondo l’ex pentito: «Dal 2008 avete arrestato 500 persone, non lo so, anche di più, dalla Calabria a Milano, ma per che cosa? Perché sono affiliati. Tutti questi affiliati! Ma lei li ha visti gli affiliati chi erano? Ci sono affiliati e ci sono affiliati!». In carcere, gli arrestati «entravano e dicevano “questo è della ’ndrangheta, pure questo qua” e io dicevo: da dove arrivano questi? Ma come hanno fatto a darti una dote che tu non sai neanche prendere la forchetta e mangiare?».
Le parole di Barbaro non hanno la raffinatezza del ragionamento investigativo ma il loro senso è chiaro: il vertice della ’ndrangheta si muove senza che la cosiddetta base degli affiliati sappia nulla. C’è una parte di struttura riservata, sconosciuta.
Le parole di Messina 32 anni fa: «Ci sono strutture che non comunicano»
Sono passati 32 anni da quando un altro collaboratore di giustizia affiliato a Cosa Nostra, Leonardo Messina, ne parlò davanti alla Commissione parlamentare antimafia, allora presieduta da Luciano Violante.
Messina spiegò, pochi mesi dopo gli attentati a Falcone e Borsellino che nella mafia siciliana «ci sono strutture che non comunicano: non è che tutti gli uomini devono sapere. Vi sono uomini che non sanno oltre la propria famiglia, o la propria decina; non tutti gli uomini, cioè, vengono messi al corrente di tutto».
I questo sistema che veniva raccontato più di 30 anni da per la prima volta vi sarebbero persone il cui nome è destinato a restare sconosciuto, «o perché rivestono cariche politiche, o perché sono uomini pubblici e nessuno deve sapere chi sono».
Lombardo e l’idea della struttura a clessidra
Sembra di leggere l’identikit degli “invisibili”, affiliati ai clan il cui nome resta riservato e noto soltanto ai vertici della criminalità “classica”. E torna alla mente un esempio utilizzato da Giuseppe Lombardo, procuratore reggente della Dda di Reggio Calabria che ha parlato dell’esistenza di una struttura a clessidra: la base della ‘ndrangheta, quelli che Messina chiamava i soldati, vede solo fino a un certo punto, fino ai vertici delle associazioni criminali. Oltre la strozzatura della clessidra si trova il “sopramondo”: un’area alla quale possono accedere alcuni boss che farebbero da cerniera di raccordo tra le mafie storiche e pezzi di istituzioni (e non solo) che con quelle mafie fanno affari e governano.
Rosario Barbaro, in qualche modo, opera una distinzione simile tra la pletora di chi si dice affiliato e resta a «giocare con la ’ndrangheta» e chi invece la ’ndrangheta l’ha già trasformata in un’altra cosa più redditizia e molto meno visibile.
«Quei quattro storti che credono ancora alla ’ndrangheta»
Quasi 15 anni fa un boss del clan Mancuso, Pantaleone “Vetrinetta”, lo diceva in un’intercettazione: «La 'ndrangheta non esiste più... la 'ndrangheta fa parte della massoneria. È sotto la massoneria però hanno le stesse regole e le stesse cose... Una volta era dei benestanti la 'ndrangheta... Poi l'hanno lasciata ai poveracci, agli zappatori e hanno fatto la massoneria. Ora che c'è? È rimasta la massoneria e quei quattro storti che credono ancora alla ‘ndrangheta». Quelli che «giocano», per dirla con Barbaro, mentre gli altri sono saliti di livello.