Sanità Calabria

Lamezia, le visite negate ai parenti dei pazienti in ospedale: «Mia madre morta all’alba ma l’ho saputo dopo ore»

Le segnalazioni sul reparto di Medicina provocano l’intervento del Tribunale per i diritti del malato: «Perché misure così ostative?». La risposta dell’Asp di Catanzaro: «Si tratta di soluzioni temporanee e straordinarie». I racconti dei cittadini stridono con le giustificazioni dell’Azienda

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di Alessia Truzzolillo
13 febbraio 2024
12:42

Cosa succede all’interno del reparto di Medicina dell’ospedale Giovanni Paolo II di Lamezia Terme?
Le notizie che ci raggiungono, provenienti da fonti eterogenee, parlano di serie difficoltà, per i parenti dei pazienti ricoverati in quel reparto, di poter visitare i propri cari. A queste fonti si aggiungono le segnalazioni arrivate al Tribunale per i diritto del malato al quale, da un anno a questa parte si rivolgono i congiunti dei ricoverati per raccontare di essere stati mandati via, senza troppe cerimonie, e non aver potuto visitare i propri cari. I casi più gravi riguardano coloro che ai familiari non sono riusciti a dare nemmeno una carezza prima dell’estremo saluto. C’è chi è morto circondato da estranei, solo, stranito, come può accadere alle persone più anziane e fragili.
I fatti si dipanano da gennaio 2023 a gennaio 2024.

Il caso di U.C.: «Sono rimasto scioccato»

È il caso della madre di U.C, 63 anni. Lui, racconta oggi a LaC, «è passato un anno ma io non riesco più nemmeno ad avvicinarmi all’ospedale. Sono rimasto scioccato. Se posso faccio il giro largo ed evito quei luoghi». L’uomo racconta di restrizioni per le quali non ha mai ricevuto spiegazioni fino a quando non si è imposto per poter portare alla madre la vista di una presenza rassicurante. «Mi presentavo sempre col tampone fatto e con la mascherina ma non era detto che mi facessero entrare. Mi telefonavano, ma non tutti i giorni, per aggiornarmi rapidamente sulle condizioni di mia madre ma dovevo essere pronto e veloce a fare delle domande prima che chiudessero il telefono, così ho preso l’abitudine di preparare le domande prima delle telefonate».
«Quando finalmente sono riuscito a vederla ho notato che una piaga che aveva su un tallone si era aperta. Nella struttura privata in cui era stata ricoverata precedentemente l’avevano curata, io le avevo comprato un cuscino di gommapiuma perché il tallone non toccasse il letto. Ma la piaga era peggiorata».


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«Mia madre morta all’alba, io l’ho saputo alle 12»

«Un giorno – racconta U.C. – ho chiamato mia madre nel pomeriggio per sentire almeno la sua voce e assicurarmi che stesse bene. Ma era agitata, confusa, diceva che aveva paura che sarebbe morta. Così ho deciso di raggiungere l’ospedale». Qui il figlio spiega l’esigenza, del tutto umana, di visitare la madre per calmarla e rassicurarla. Gli dicono di attendere. Mentre aspetta chiama la genitrice per tranquillizzarla ma, mentre le sta parlando, qualcuno, dall’altro capo, prende il telefono di mano all’anziana e si rivolge con tono sgarbato e aggressivo a U.C. dicendogli che deve aspettare. Poi gli chiude la telefonata». «Mi hanno fatto entrare per un minuto e un infermiere è sempre rimasto sulla porta», racconta.
L’anziana signora, tempo dopo, è deceduta prima dell’alba. Il signor U.C l’ha scoperto a mezzogiorno quando, dopo aver fatto il tampone, si era recato in ospedale per una visita.

Nessuna notizia di Andrea per 10 giorni

Un altro caso – questa volta raccontato dal Tribunale per i diritti del malato qualche mese più tardi – è quello di Andrea, morta nello stesso reparto. Andrea, di origini rumene, era mamma di un ragazzo di 15 anni e figlia di una signora anche lei molto malata. I due familiari, per quasi dieci giorni, non hanno avuto notizie di Andrea e, non sapendo cosa fare, si sono rivolti al Tdm. «Dopo aver tentato inutilmente di contattare telefonicamente qualche medico del reparto – scrive Fiore Isabella –, ho lasciato giù nonna e il nipote e sono salito al quarto piano per rendermi conto se in quel reparto dove i telefoni sono in stand by almeno i citofoni funzionano. Mi ha aperto la porta una signora col camice bianco, bassa e con i capelli biondi che ha convenuto sulla necessità di un appuntamento dei familiari intorno alle 12,30 con qualche medico in grado di dare notizie sulle condizioni di Andrea. All'ora stabilita, Mario e la nonna sono saliti in reparto e, dopo 10 giorni, hanno saputo della condizioni estremamente critiche dell'ammalata. A Mario è stato consentito di avvicinarsi alla madre ormai in uno stato di totale incoscienza, alla quale ha potuto dire soltanto, mandandole un bacio a distanza: “Mamma, ti voglio bene”». Quando Andrea è morta «una dottoressa, alla quale spetta indiscutibilmente il premio Nobel della dolcezza – scrivono dal Tdm –, ad una mamma distrutta dal dolore che chiedeva conto a un dottore di ciò che era accaduto, le rispondeva con freddo distacco "Che cosa volete da me?”».

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Il Tdm: «Negata la possibilità di fare visita ai propri cari»

La scorsa settimana il responsabile del Tribunale per i diritti del malato (Tdm), Fiore Isabella, ha inviato una lettera indirizzata al primario del reparto di Medicina. Non viene nominato mai nella lettera ma tutti sanno che è Gerardo Mancuso. Il Tdm, si sa, tassello della più vasta rete di Cittadinanzattiva, ha il compito di registrare i disagi dei pazienti e di trasmetterli all’Ufficio Relazioni con il Pubblico che, a sua volta ha il compito di inviare la comunicazione ai responsabili del nosocomio.
Questa comunicazione, nel 90% dei casi, resta lettera morta. A meno che non venga messa a conoscenza, per mezzo stampa, di tutti i cittadini.
Anche in questa occasione il Tdm, si racconta nella lettera, ha ricevuto più segnalazioni orali, nel mese di gennaio 2024, da parte di parenti «di pazienti anziani e particolarmente fragili (non autonomi), ricoverati nel suo reparto, ai quali viene negata la possibilità di fare visita ai propri cari, anche per il tempo indispensabile a garantire quella continuità relazionale e familiare, senza la quale si fa estremamente serio il rischio di una rottura emotiva che, ovviamente, rende più tortuoso il percorso del recupero clinico».

Il Tdm pone due domande al primario: «Quali problemi, in questa fase post pandemica, richiedono misure così ostative come quelle in atto, a parte la delicatezza dei reparti di degenza, in particolare il suo, che richiedono un flusso contenuto e protetto di visitatori?»
E ancora si chiede al primario: «Come mai non viene presa in considerazione l'ipotesi, per i degenti con problemi di autonomia personale e sociale, di prevedere la presenza di un familiare con tutte le misure di protezione necessarie, a garanzia del diritto dell'ammalato a mantenere il contatto con i propri affetti?».

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La replica dell’Asp: «Misure straordinarie e temporanee»

Dopo una settimana, a questi quesiti ha risposto l’ufficio stampa dell’Asp di Catanzaro. Si afferma che la chiusura delle visite ai pazienti sia nata a gennaio scorso, dopo che «in due giornate del mese di gennaio si sono presentati in reparto oltre 40 visitatori; nei giorni successivi abbiamo avuto pazienti con infezione da Sars CoV2 ed altri con infezione virus da H1N1, infezioni che non avevano all’ingresso. Alcuni pazienti hanno avuto complicanze importanti per le infezioni contratte e ciò ha costretto a sospendere le visite per circoscrivere i focolai e impedire altre contaminazioni. Tuttavia sono state concesse visite per pazienti in particolari condizioni, come numerose famiglie possono testimoniare».
«Nel reparto di Medicina – prosegue la nota – sono ricoverati pazienti complessi e fragili spesso per la compresenza di più patologie, ed una infezione può rappresentare una complicanza, anche fatale. Si cerca di gestire gli accessi, talvolta anche con le forze dell’ordine, ma bisogna comprendere che è necessario tutelare la salute dei pazienti e che le visite devono essere veloci, di una persona per volta sempre dotata di mascherina».

«Il personale del Reparto e la Direzione sanitaria sono a disposizione per fornire ogni chiarimento utile al riguardo, nella piena consapevolezza che cure mediche e vicinanza dei congiunti generano un recupero più veloce ma, del pari, in alcune condizioni epidemiologiche la tutela di tutti i degenti può richiedere l’adozione di misure straordinarie temporanee».
Questa la risposta, la prima mai fornita.

Interrogativi

Ci si chiede come sia possibile che da blindato che era, il reparto abbia permesso 40 visitatori in due giorni.
Ci si chiede anche perché in reparti altrettanto delicati come l’Obi (osservazione breve intensiva), sia permessa, con tutte le precauzioni del caso, la presenza, se necessaria, di un solo parente del paziente. Eppure in Obi, struttura direttamente collegata al Pronto soccorso, non si parla di focolai di infezione.
Perché le segnalazioni, sia quelle trasmesse al Tdm che giunte direttamente al nostro giornale, non riguardano mai altri reparti ma solo Medicina? Quali sono le regole dettate dalla Direzione sanitaria? Inoltre nel comunicato si parla di «misure straordinarie temporanee» ma, dai racconti riportati, questo stato di cose sembra non essere mai cessato dal periodo pandemico ad oggi.

Il Tdm: «Mandiamo segnalazioni e nel 90% dei casi c’è il silenzio»

Alla risposta dell’Asp controreplica il responsabile del Tdm.
«Alla mia lettera indirizzata al primario del reparto Medicina dell'Ospedale “Giovanni Paolo II" di Lamezia Terme – è scritto –, l'Asp ha risposto con un comunicato stampa che esordisce con questa frase: "Si rendono necessari chiarimenti per non inficiare il clima di fiducia che deve caratterizzare i rapporti tra cittadini e sistema sanitario”, lasciando il dubbio, volutamente non dipanato, che a concorrere ad inficiare il clima di reciproca fiducia sia il Tribunale per i diritti del Malato della Rete di Cittadinanzattiva operante nella struttura ospedaliera lametina. Ricordo a chi non è chiaro che il ruolo del Tdm è quello di tutelare i cittadini nell’ambito della salute, fornendo informazioni e aiuto su leggi e diritti. Nello specifico del Tdm, operante a Lamezia Terme e attivo per quattro giorni alla settimana, i compiti si svolgono in linea con quanto previsto dal suo regolamento attraverso l'ascolto degli utenti e la segnalazione ai responsabili dei servizi sanitari ed amministrativi, tramite l'Ufficio relazioni col pubblico (Urp), dal quale riceviamo sistematici attestati di rispetto e stima. Ad onor del vero, alle segnalazioni dei cittadini, filtrate, da diverso tempo, con correttezza semantica e spirito costruttivo, nel 90% dei casi è sempre sceso il silenzio».

«Evitare che sui bisogni dei pazienti scenda il silenzio»

«Per quanto riguarda il problema del diniego degli accessi dei familiari ai loro cari in regime di degenza, temo che lo spirito della mia lettera non sia stato correttamente compreso; forse , e me ne scuso, per non essere stato sufficientemente chiaro. A tal fine ripropongo i due interrogativi posti al primario del reparto di medicina, ai quali nel comunicato stampa dell'Asp non si fa alcun cenno: 1. quali problemi, in questa fase post pandemica, richiedono misure così ostative come quelle in atto, a parte la delicatezza dei reparti di degenza, in particolare il suo, che richiedono un flusso contenuto e protetto di visitatori? 2. come mai non viene presa in considerazione l'ipotesi , per i degenti con problemi di autonomia personale e sociale, di prevedere la presenza di un familiare con tutte le misure di protezione necessarie, a garanzia del diritto dell'ammalato a mantenere il contatto con i propri affetti? Nell'attesa che a questi due interrogativi si faccia, concretamente, fronte, gestendo la problematica con mitezza e senza ricorso a poliziotti e carabinieri, rassicuro l'Asp che lo sportello del Tdm nell'ospedale continuerà ad essere a disposizione dell'utenza per concorrere a migliorare la qualità dei servizi, aumentare la sua fiducia nelle istituzioni sanitarie pubbliche e sollecitare le istituzioni stesse ad evitare che sui bisogni, anche se a volte solo percepiti, scenda un definitivo silenzio».

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