Le pressioni del pentito di camorra su Emanuele Mancuso: «Non devi rovinare la tua famiglia»

Racconti dal penitenziario dei collaboratori di giustizia. Le rivelazioni dell'ex boss dei Basilischi Antonio Cossidente

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di Pietro Comito
7 gennaio 2021
20:15

‘O Cecat non era chiaro da che parte stava. Era detenuto a Paliano, da collaboratore di giustizia e come altri collaboratori di giustizia. All’anagrafe Mario Morgese, un camorrista di Ponticelli. «Un giorno – racconta l’ex boss dei Basilischi Antonio Cossidente al pm antimafia di Catanzaro Anna Maria Frustaci – si avvicinò e gli disse “Tu sei il figlio di Luni?” ed Emanuele rispose “Sì, come conosci mio padre?”. Dice “No, io sono nu compariello suo”».

In affari con l’Ingegnere

Una conversazione che assumerà una piega quasi surreale. ‘O Cecat – secondo la ricostruzione dell’ex capomafia lucano agli inquirenti calabresi – raccontava di essere stato detenuto con Luni l’Ingegnere, padre di Emanuele Mancuso, a Vasto. Cossidente: «Dice “Siamo entrati in rapporti d’affari con tuo padre”». Roba di droga: gente di Forcella che andava a Nicotera per rifornirsi di stupefacenti. Non millantava, Morgese, e per dimostrarlo rivelava un particolare del quale solo poche persone potevano essere a conoscenza: «E questo disse “Tuo padre ha un tatuaggio che si è fatto come tua madre, hanno una farfalla”». Sempre Cossidente: «E questo parlava molto bene di Luni, del padre. E iniziò a fare un’opera di convincimento nei confronti di Emanuele di non farlo collaborare».


«Ci tengo assai a tuo padre»

Il pm Frustaci: «Morgese?». E l’ex boss dei Basilichi replica: «Morgese, Mario Morgese “Ma tu pensaci bene, ma che stai facendo? La tua famiglia non si merita questo. Dice “Anche se io sono collaboratore però pensaci bene perché tu stai rovinando una famiglia… Io ci tengo assai a tuo padre”». Il napoletano ed il figlio dell’Ingegnere tornarono sull’argomento, al passeggio, durante l’ora d’aria. Al rientro in cella, Emanuele era «molto scosso» e chiese consiglio proprio a Cossidente, col quale si era creato un legame di amicizia forte e sincero: «Disse “Antonio, ti devo dire una cosa: questo insiste che io devo ritrattare, insiste, insiste, insiste. Perché?”. Ed io mi incazzai con Emanuele e dissi “Fammi il piacere, non camminare più con sto Morgese, tu da questo momento non devi più avere rapporti con questa persona. Tu devi continuare a collaborare, non pensare a nessuno”».

Un avvocato perbene

L’ex boss dei Basilischi andò oltre e lo racconta al pm Frustaci: «Chiamai questo Morgese ed ebbi un piccolo diverbio, ho detto Tu non ti permettere più di andare vicino ad Emanuele a dire che non deve collaborare, non ti permettere assolutamente più, da questo momento buongiorno e buonasera! Tu con Emanuele devi chiudere i rapporti". “No, ma io lo faccio per lui perché sono amico del padre”». Ma il pentito di camorra era ostinato: «Questo Morgese, dottoressa, gli disse anche Levati l’avvocato Nicolini. Dice “Ti faccio mettere l’avvocato mio”». Insomma, Emanuele Mancuso, come primo passo verso la ritrattazione, secondo ‘O Cecat, doveva revocare il suo legale di fiducia, l’avvocato Antonia Nicolini. Ma Antonio Cossidente, anche stavolta, fu risoluto nei confronti del giovane Mancuso: «Io dissi “Tu non ti metti nessuno, devi tenere all’avvocato Nicolini perché è una persona perbene, seria e ti sta seguendo con amore». Tenne duro, Emanuele Mancuso, anche stavolta e Morgese se la prese, per questo, con l’ex capo dei Basilischi: «Ce l’aveva con me perché disse “Tu lo difendi troppo, tu qua, tu là”. Cioè m’aggi fattu n’atu nemico…». Antonio Cossidente era divenuto una sorta di angelo custode del giovane collaboratore di giustizia vibonese, che trovò un punto di riferimento importantissimo quando fu trasferito nella cella dell'ex mafioso lucano.

Un altro padre, un altro figlio

Inizialmente, a Paliano, nel carcere dei pentiti, Emanuele fu associato alla prima sezione. Qui, un giorno, fu aggredito proditoriamente da un altro detenuto napoletano. «Lorenzo Cozzolino», racconta Antonio Cossidente. Cozzolino era uno degli scissionisti del clan Vollaro di Portici. Nel pieno di un regolamento di conti di camorra, trasferì armi e affari in Abruzzo. Nel 2012 fu arrestato in una maxioperazione del Ros denominata Tramonto e subito vuotò il sacco. Un energumeno. Dopo quanto accaduto, la direttrice del carcere chiamò Antonio Cossidente e gli chiese se fosse disponibile ad accogliere nella sua cella proprio Emanuele Mancuso. Accettò. Così Emanuele, dopo aver rinnegato il padre che aveva fuori, ne trovò un altro all’interno del carcere. A sua volta Cossidente trovò un figlio, coetaneo di quello vero che aveva lasciato nel mondo esterno e che non poteva vedere.

 

Giornalista
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