Migrante deportato al Cara di Isola, scricchiola la versione istituzionale

Regolare e ospite di una struttura ad Amantea, è stato portato al centro di accoglienza con undici persone in quarantena. Da Crotone a Cosenza è rimpallo di responsabilità su chi abbia impartito l'ordine. Modalità e tempi del suo trasferimento restano incerti

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di Alessia Candito
20 luglio 2020
18:43
La procedura di identificazione dei migranti ad Amantea
La procedura di identificazione dei migranti ad Amantea

Intrappolato in un capannone perché considerato “a rischio” con undici persone che per lui, così vulnerabile, sono un pericolo. Non si sblocca la situazione kafkiana in cui è precipitato Abbas Mian Nadeem, il ragazzo pakistano da anni residente ad Amantea, trasferito insieme agli 11 migranti inizialmente ospitati in paese e rapidamente trasferiti dopo le proteste che si sono scatenate contro di loro.

 


Peccato che con quel gruppo di naufraghi lui non abbia nulla a che fare. Non è appena sceso da un barcone, ma è da anni in Italia e con tutti i documenti in regola. Anche per le sue delicate condizioni di salute, ha un permesso come “caso speciale”, rinnovabile, di maggior durata e considerato fra i più sicuri nel labirinto dell’accoglienza disegnato dai decreti sicurezza. Ospite di una struttura d’accoglienza ad Amantea, è perfettamente integrato, parla un buon italiano ed in paese ormai è una faccia nota. Eppure è stato costretto a seguire gli ultimi 11 migranti che le proteste hanno scacciato dal paese. Perché nessuno sa dirlo con precisione.

 

Una versione istituzionale che scricchiola


Da Crotone, la Prefettura fa sapere di aver solo eseguito gli ordini e supervisionato il trasferimento nella struttura. Dall’Ufficio di Cosenza, alzano le mani e si trincerano dietro una relazione di servizio dell’Asp. «Ci segnalano che avrebbe avuto contatti con gli undici migranti ospiti ad Amantea e che deve essere sottoposto a quarantena» spiegano. Dall’Asp, non è stato possibile avere alcuna conferma, mentre chi lo conosce e quel giorno era con lui nega che abbia avuto alcun tipo di contatto. 

 

E la versione istituzionale comunque scricchiola. E non solo perché la struttura in cui i migranti ad Amantea erano ospitati era presidiata dall’esercito e interdetta a personale non autorizzato per ordine della prefettura. O perché Abbas per primo, cosciente delle sue precarie condizioni di salute – sieropositivo, affetto da epatite B e C – non si sarebbe mai esposto volontariamente ad un potenziale contagio.

 

Per quale motivazione, un soggetto vulnerabile è stato costretto ad una situazione di promiscuità? Perché per lui, nonostante abbia una regolare residenza non è stato disposto l’isolamento domiciliare come in qualsiasi caso di possibile contatto con soggetti affetti da Covid19? E perché lui per primo non ne è stato informato?

 

Le paure di Abbas

Solo quando è arrivato a Isola Capo Rizzuto, ha raccontato ai suoi contatti di Amantea cui si è rivolto per chiedere aiuto, ha capito dove fosse. E da allora è terrorizzato. Non capisce per quale motivazione sia lì, non ha niente con sé, neanche i farmaci antiretrovirali con cui è in terapia continuativa. E che adesso, per cause di forza maggiore, lì rinchiuso è stato costretto a sospendere.

 

Della sua sorte si è discusso per un’intera giornata. Nessuno sembra voler rimanere con il cerino in mano, ma adesso è complicato uscire dall’impasse. Perché dopo essere stato messo a contatto con soggetti potenzialmente positivi, anche lui dovrà fare la quarantena. Dove? Ancora è da stabilire. Forse nell’infermeria del Cara, forse a casa sua ad Amantea. Probabilmente per una notte ancora, Abbas non potrà far altro che attendere.

Giornalista
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