'Ndrangheta, condannato Alfonso Annunziata: l'imprenditore socio dei Piromalli

Dodici anni inflitti al noto commerciante con interessi anche in altre zone della Calabria accusato di essere il braccio economico del potente clan della città del porto. Il tribunale ha disposta anche la confisca dei beni

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di Francesco Altomonte
4 giugno 2020
12:30

Il tribunale di Palmi ha condannato l'imprenditore di Gioia Tauro Alfonso Annunziata a 12 anni di carcere per associazione mafiosa. Assolto, invece, dall'accusa di associazione per delinquere finalizzata alla commercializzazione di merce contraffatta. Assolti tutti gli altri imputati nel procedimento coordinato dalla procura antimafia di Reggio Calabria e denominato "Bucefalo". I giudici hanno anche disposto la confisca di tutti i beni ad Annunziata, mentre quelli riconducibili agli altri imputati sono stati dissequestrati. 

 


Il pubblico ministero Roberto Di Palma, sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, aveva chiesto 17 anni di carcere per il famoso imprenditore di San Giuseppe Vesuviano, ma da decenni trapiantato a Gioia Tauro. Una richiesta pesante, quella del rappresentante della Procura antimafia di Reggio Calabria, che era comunque la fisiologica conseguenza della ricostruzione effettuata durante la lunga requisitoria. Di Palma, inoltre, aveva chiesto la condanna degli altri imputati finiti nell’inchiesta “Bucefalo”, tutti parenti di Alfonso Annunziata: Domenica Epifanio 3 anni, Valeria Annunziata 4 anni, Rosa Anna Annunziata 3 anni, Marzia Annunziata 3 anni, Carmelo Ambesi 3 anni, Fioravante Annunziata 5 anni, Claudio Pontoriero 5 anni, Roberta Bravetti 5 anni, Andrea Bravetti 3 anni. Secondo la tesi prospettata dagli inquirenti, dalle indagini sarebbe emersa l’esistenza «di un indissolubile rapporto di sinergia economico-criminale» tra l’imprenditore e la cosca Piromalli. 

 

L'accusa

Secondo la Dda di Reggio Calabria, Alfonso Annunziata avrebbe stretto negli anni ’80 un accordo con Peppino Piromalli (cl. ’21), deceduto nel 2005 e fondatore dell’omonimo clan della ‘ndrangheta insieme al fratello Girolamo, alias “don Mommo”, morto invece nel 1979. Da Peppino Piromalli l’imprenditore napoletano – dopo essere stato in un primo tempo allontanato dalla Calabria – avrebbe ricevuto il permesso di ritornare a Gioia Tauro per realizzare il primo negozio in una zona centrale della cittadina. Una posizione, quella dell’accusa, che ha portato il procuratore aggiunto Gaetano Paci e il sostituto Di Palma a chiedere e ottenere al Tribunale misure di prevenzione la confisca dell’intero patrimonio riconducibile a Annunziata, un tesoro di circa 215 milioni di euro.

 

Successivamente è avvenuto l’acquisto del terreno nei pressi dello svincolo autostradale dove attualmente sorge il parco commerciale “Annunziata”. Ad avviso della Dda, i soldi per l’acquisto del terreno sarebbero stati dati ad Annunziata da Pino Piromalli (cl. ’45), alias “Facciazza”, nipote di Peppino Piromalli in quanto figlio di Antonino Piromalli (ucciso negli anni ’50 nella faida con la famiglia Carlino), quest’ultimo fratello di don Mommo e dello stesso don Peppino. Pino Piromalli – attualmente in carcere perché condannato nei processi nati dalle operazioni “Tirreno” e “Cent’anni di storia” – avrebbe quindi intestato il terreno ad Alfonso Annunziata ricevendo in cambio il denaro ricavato con l’apertura della nuova attività imprenditoriale e la possibilità di far eseguire i lavori ad imprese amiche.

 

La versione di Annunziata

A aprile dello scorso anno, l’imprenditore di origine campane è stato sentito come testimone e due giorni dopo era stato scarcerato. Era detenuto da due anni. L’anziano aveva dichiarato di essere vittima della ‘ndrangheta non un partecipe. Annunziata, infatti, aveva affermato di avere sempre pagato il pizzo raccontando la sua storia imprenditoriale a Gioia Tauro, prima e dopo l’intimidazione del 1987, che lo aveva portato a lasciare la città del porto per tornare a San Giuseppe Vesuviano. Secondo quanto affermato dall’imputato in udienza, per decenni avrebbe pagato 50 milioni di lire sia ai Piromalli che a Molè. Con l’entrata dell’euro la cifra si sarebbe trasformata in 25mila euro per i Piromalli e 38 dati direttamente a Rocco Molè, che avrebbe chiesto un aumento dell’estorsione. Un fiume di denaro pagato ai due potenti clan della città del porto fino al 2008, quando fu ucciso Rocco Molè.

Da quel momento in avanti, ha dichiarato Annunziata, nessuno è più andato a chiedergli nulla. Una tesi che non ha mai trovato sponda nella ricostruzione della procura antimafia che nella fase d’indagine e per tutto il processo ha continua a sostenere la cointeressenza di interessi tra Annunziata e i Piromalli, una vicinanza di interessi che avrebbe permesso all’imprenditore di poter prosperare economicamente non solo a Gioia Tauro, ma anche in altre parti della Calabria, come per esempio a Vibo Valentia dove ha sede il secondo parco commerciale che porta il suo nome. Un versione che, alla luce della sentenza di oggi, non è stata considerata attendibile dal collegio del tribunale di Palmi che ha deciso di condannare Annunziata a 12 anni di carcere. 

 

Lo scontro fra i Piromalli e i Molè 

Una piccola battuta di arresto si è registrata solo nel 2008, quando anche i Molè – da sempre fedeli alleati dei Piromalli, oltre che legati da rapporti di parentela – avrebbero reclamato la loro fetta di affari pure nel parco commerciale “Annunziata”. Secondo gli inquirenti della Dda di Reggio Calabria sarebbe stato questo il momento più acuto dello scontro tra le due storiche famiglie di ‘ndrangheta di Gioia Tauro. Una frattura profonda, con la scissione definitivamente sancita attraverso l’omicidio, nel febbraio 2008, di Rocco Molè e il trionfo – ancora una volta – dei Piromalli, il casato di ‘ndrangheta più potente dell’intera Calabria.

 

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