Una sentenza storica, perché prova l’infiltrazione della ’ndrangheta nel sindacato: un presunto affiliato si era fatto strada nella Cisl, era diventato un esponente importante di una delle sigle per le quali mieteva tessere e dalla quale otteneva benefit. Il Tribunale di Torino ha emesso condanne significative nei confronti di Domenico Ceravolo e Franco D’Onofrio, entrambi originari del Vibonese e ritenuti figure di spicco della ‘ndrangheta legate alla cosca Bonavota di Sant’Onofrio. Ceravolo, sindacalista Filca Cisl, è stato condannato a otto anni e dieci mesi, mentre D’Onofrio ha ricevuto undici anni e dieci mesi. Entrambe le pronunce segnano un momento storico: svelano l’infiltrazione mafiosa nei luoghi di tutela dei lavoratori e interrompono la lunga impunità del capo storico dell’associazione criminale.

L’inchiesta e le prove raccolte

L’indagine, coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri e dai pm Paolo Toso, Marco Sanini e Mario Bendoni, ha portato alla condanna di cinque affiliati. Tra le prove raccolte, emergono elementi inquietanti sull’operato di Ceravolo: nello suo ufficio è stato trovato uno scanner utilizzato per “bonificare” ambienti da microspie. L’indagine – lo ricorda oggi La Stampa – si è avvalsa di una cimice ambientale nella casa di D’Onofrio, consentendo di ricostruire la struttura e le attività dell’associazione mafiosa, armata e ben organizzata, operante anche nel territorio di Torino.

Il ruolo di Ceravolo nel sindacato e i privilegi ottenuti

Ceravolo, pur rivestendo un ruolo sindacale ufficiale, avrebbe sfruttato la sua posizione per favorire la criminalità organizzata. Tra i benefici personali figuravano auto e abitazione fornite dal sindacato, viaggi per testimoniare a processi di mafia (nell’inchiesta è riportata la storia della sua testimonianza a Rinascita Scott), uno stipendio maggiorato e un telefono aziendale non intercettabile del costo di 1500 euro. Avrebbe inoltre agevolato la latitanza di un affiliato di spicco come Pasquale Bonavota e fornito supporto economico e amministrativo a familiari di boss calabresi, inclusi mutui e sussidi durante il periodo Covid.

Negato il risarcimento alla Cisl

Nonostante la condanna, il giudice non ha riconosciuto risarcimenti alla Cisl, parte civile nel procedimento. L’indagine ha messo in luce anche criticità interne al sindacato, con sospetti su alcune pratiche amministrative che non hanno portato a ulteriori indagati. La sentenza rappresenta un punto di svolta nella lotta alla criminalità organizzata e nell’individuazione dei legami tra mafia e sindacato.