Anche la scuola, per i Piromalli, era “cosa loro”. Non un’iperbole, ma uno degli squarci più emblematici – e desolanti – emersi dalle carte dell’inchiesta Res-Tauro, che ha smantellato pezzi fondamentali della cosca egemone a Gioia Tauro. Un'indagine che ha riportato al centro della scena Giuseppe Piromalli, boss storico tornato in libertà e subito riposizionato al vertice del comando mafioso.

Il racconto investigativo che si snoda attorno a un episodio apparentemente marginale – lo spostamento di una classe scolastica da un plesso all’altro – diventa in realtà paradigma di un controllo mafioso che pretende di permeare ogni piega della vita civile. Una scuola, un preside, una classe: anche qui il boss decideva.

L’arroganza del potere mafioso

È il 2022. La figlia del boss Giuseppe, madre di una bimba, non accetta che la classe frequentata dalla figlia sia stata assegnata al plesso nella zona Marina. Per lei, è un problema logistico: «A me interessa per una questione di comodità mia», dice intercettata. «Devo salire tutte le mattine qua sotto? Ora, siccome il preside li sta accontentando tutti... ora accontenta a me!».

Così interviene "compare Pino", alias Giuseppe Piromalli, che attraverso l’intermediazione del fedelissimo Domenico Pisano, trasforma un capriccio familiare in una questione di ordine mafioso. Il dirigente scolastico riceve un messaggio inequivocabile: «Fino a che campo, e il Signore vuole, a Gioia Tauro si fa quello che decide compare Pino». Se non accetterà, dovrà «prendere la valigia e andarsene».

L’obiettivo era far spostare la classe della nipote nel plesso a pochi passi dall’abitazione della Piromalli. Un’imposizione mascherata da richiesta, come chiarisce lo stesso Giuseppe Piromalli: «Io non gli ho chiesto se si può fare. Io gli ho detto che si deve fare!».

Il dirigente nel mirino

La pressione è martellante. Piromalli pretende un incontro immediato con l’intermediario: «Quando si devono prendere di petto, si prendono di petto... non ti dica “stasera... domani”, gli devi dire: “ora, che sta aspettando a te”».

Il tentativo di coercizione è esplicito, tanto che l’intermediario, Pisano, appare persino intimorito nel dover svolgere il suo “compito”: secondo quanto si legge nelle carte, era così spaventato da temere per la propria vita, e solo grazie alle rassicurazioni di un altro membro della cosca accetta di procedere.

La forza (e la paura) del nome Piromalli

La richiesta, in sé, non andrà a buon fine: le classi erano già state distribuite, e il preside non cede nell’immediato, ma l’anno successivo il cambio è fatto. Ma per i magistrati il fatto è rilevante: la minaccia, anche se non ha sortito effetto pratico immediato, ha ribadito il messaggio fondamentale della cosca – a Gioia Tauro comanda ancora la 'ndrangheta, anche se chi comanda ha passato decenni dietro le sbarre.

È questo il punto che il procuratore aggiunto Stefano Musolino sottolinea con amarezza: «La spregiudicatezza con cui viene esercitato quel potere mafioso ci racconta un tessuto sociale molle, incapace di reagire, di ribellarsi anche di fronte a uomini anziani, fuori dal carcere da poco, eppure ancora temuti come padroni del territorio».

La figlia del boss, con tono sarcastico e arrogante, lo riassume meglio di chiunque altro, parlando del dirigente scolastico: «Gli è piaciuto venire a Gioia a scuola?! Allora ora si adegua».

Una società sotto ricatto

Non è solo la violenza o la minaccia esplicita a spaventare. È l’idea che nulla sia davvero libero dal controllo mafioso. Che anche una decisione scolastica possa diventare un affare di cosca. Che un boss possa ancora permettersi di dire, con naturalezza: «Si fa quello che dico io».

Res-Tauro non ha solo documentato la persistenza del potere mafioso in settori economici e imprenditoriali. Ha mostrato quanto sia ancora fragile la resistenza civile, quanto radicato sia il timore. E quanto spazio ci sia ancora da conquistare – nella società e nelle istituzioni – per spezzare il patto non scritto che lega la ‘ndrangheta ai silenzi, alle convenienze e all’inerzia di chi dovrebbe dire no. Perché anche la scuola, quando il silenzio prevale, può diventare cosa loro.