Un lungo applauso ha accolto l’intervento del procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, all'assemblea generale dell'Associazione nazionale magistrati a Roma. Eppure, com’è suo stile, il procuratore ha esordito senza mandarle a dire. Un discorso duro, diretto, scomodo. Eppure efficace, visti i continui applausi che lo hanno interrotto.
«Io – ha detto il magistrato di Gerace – ho 67 anni, sono in magistratura dall’86, è la prima volta che entro in quest’aula per parlare all’Anm, per ascoltare l’Anm. Perché io non ho mai avuto un buon rapporto con l’Anm, né quando ero a Locri, né a Reggio Calabria, né quando ero a Catanzaro, né a Napoli. Non ho mai sentito vicina l’Anm. In particolare, nei sette anni a Catanzaro, dove abbiamo fatto indagini importanti, abbiamo alzato il tiro: non abbiamo indagato solo sui soliti noti e sono usciti fuori pezzi della classe dirigente, massoneria deviata mista a ‘ndrangheta. Gente agli arresti domiciliari che chiamava col telefono della moglie per dettare le interrogazioni parlamentari contro di me. L’Anm nazionale non ha mosso un dito. Eppure, le Camere penali della Calabria ogni 20 giorni, mediamente quando noi eseguivamo 50, 100, 200 arresti scrivevano documenti congiunti contro quell’ordinanza. A due ore dagli arresti, di un’ordinanza di 5000 pagine e 460 pagine di capi di imputazione, scrivevano che era “evanescente”. Peccato che poi la gran parte di queste ordinanze di custodia cautelare sono state trasformate in condanne e in sentenze definitive della Cassazione».

La narrazione distorta sulle ingiuste detenzioni

Anche contro certa stampa che marciava sui grandi numeri delle ingiuste detenzioni, Gratteri dice: «Quando questa narrazione è diventata quotidiana ho chiesto al presidente della Corte d’appello le statistiche e Catanzaro era di gran lunga sotto la media nazionale dei risarcimenti per le ingiuste detenzioni».

Ma il procuratore di Napoli non ha potuto esimersi dal partecipare all’assemblea nell’Anm per dire No alla riforma della separazione delle carriere. «Io – ha detto – ho pensato tanto se venire o non venire. Mi sono convinto ad esserci perché la posta in gioco è molto alta. Faccio questo lavoro dall’86. Dall’88/89 utilizzo le mie ferie per andare nelle scuole a parlare, in Italia e nel mondo, a spiegare la non convenienza a delinquere. Uso un linguaggio volutamente non tecnico-giuridico».

Il caso “Lezioni di mafie”

«C’è stato un momento in cui ho pensato al sorteggio quando ho visto che in un anno il Consiglio di Stato ha ribaltato cinque nomine direttive in uffici importanti in Italia. Mi sono chiesto: ma che sta succedendo? Però oggi dobbiamo decidere e poi andare a votare per un pacchetto. La mia preoccupazione è ancora più forte dal momento in cui mi è capitata una cosa un po’ singolare. Io vado spesso in televisione. Nel mese di novembre sono già prenotato in dieci trasmissioni televisive. “Lezioni di mafie” (il format andato in onda su La7 con Gratteri tra i divulgatori, ndr) lo hanno fatto altri quattro magistrati prima di me. Nessuno ha protestato, nessuno ha detto nulla. Il viceministro Sisto a Torino, durante un convegno, rivolgendosi all’ex magistrato Bruti Liberati, ha detto: “Questo è un grande magistrato che viene a convegni di cultura, non come procuratori di procure importanti che vanno in televisione a fare i presentatori. In quel momento non ha avuto il coraggio di fare il mio nome perché il coraggio non si vende al supermercato. O ce l’hai o non ce l’hai. Dopo pochi giorni l’onorevole Pittalis di Forza Italia mi fa un’interrogazione parlamentare, chiedendo al ministro di valutare se ci sono gli estremi per un’ispezione. So che non è stata una decisione leggera ma poi il ministro (Nordio, ndr) è stato costretto a scrivere che non c’era stata nessuna violazione disciplinare. Ma nella parte finale della risposta è scritta una cosa molto importante: “C’è un buco normativo che adesso noi dobbiamo regolamentare per stabilire i magistrati in televisione quando e come possono andare”».

«L’obbiettivo è trasformare il pm in burocrate»

Con questa sua vicenda personale e con la risposta di Nordio all’interrogazione parlamentare, Gratteri si aggancia al tema del referendum sulla separazione delle carriere. «L’obbiettivo è quello di normalizzare il pubblico ministero. L’obbiettivo (della riforma, ndr) è quello di trasformarlo in un perfetto burocrate. Perché nella prima settimana della scuola di magistratura – e vi assicuro che funzionava meglio quando era gestita dal Csm (oggi è gestita dalla Scuola superiore di magistratura, un ente misto, ndr) – la cosa che insegnano è quella di avere la scrivania in ordine. Vi terrorizzano con i ritardi, vi terrorizzano con i disciplinari. Nella scuola di magistratura dovrebbero insegnare persone che nella vita hanno fatto qualcosa, non gente con tre anni di anzianità di servizio. Non gente che nella vita ha dimostrato di essere stato un pessimo dirigente che non è in grado di far lavorare i giudici fino alle 17 del pomeriggio. La credibilità passa da queste cose».

I convegni passerella

E quindi che fare? «Bisogna organizzarsi – dice Gratteri – la dovete smettere di fare convegni con professori universitari e con avvocati. A questi eventi ci sono mediamente 150 persone: come sono entrati così escono. Non hanno cambiato assolutamente idea. Questi convegno sono passerelle per esibire la propria cultura giuridica. Non è il tempo delle parate. Cominciate a fare incontri con fondazioni, associazioni culturali. Andate nelle università, andate dappertutto ma lasciate stare i confronti inutili».

La formula: parlare alla gente e parlare semplice

«Cominciate a parlare alla gente con i 400 vocaboli che le persone conoscono. Mi raccomando, lasciate stare i convegni e le conferenze. Scendete per strada e incominciate a parlare alla gente. È l’unica possibilità che c’è di poter vincere questo referendum. Vi stanno raccontando che ormai il referendum è perso. E non è vero che la magistratura è ai minimi storici. La magistratura dal 36 percento, dopo il cosiddetto caso Palamara, adesso è al 54 percento. Ci sono sei punti di distacco tra il Sì e il No, quindi ce la possiamo fare».