C’è un potere che in Calabria non si vede ma che respiri ovunque.

Sta nelle stanze chiuse, nelle telefonate che non arrivano mai a verbale, nei sussurri che precedono ogni nomina pubblica. Non ha un volto unico, ma tanti volti. Non è mafia, non è politica, non è massoneria deviata: è tutto insieme, fuso in un corpo unico, come vene che si intrecciano in un organismo malato.

Lo hanno chiamato in tanti modi: “masso-mafie”, “Invisibili”, “Santa”. Ma la sostanza non cambia: in Calabria il potere non è libero né trasparente. È opaco, segreto, deformato. Ed è qui che il futuro muore.

In Calabria non c’è bisogno soltanto delle solite minacce. Qui il potere è come l’umidità: non lo vedi, ma penetra ovunque, entra nei muri delle istituzioni e li corrode dall’interno.

La cronaca giudiziaria ce lo racconta da anni. Le inchieste Gotha, Mammasantissima, Olimpia, Rinascita-Scott hanno mostrato uno scenario che non è infiltrazione, ma simbiosi e sistema. La ‘ndrangheta non si limita più a condizionare: diventa istituzione essa stessa. Non solo boss e pistole, ma politici, amministratori pubblici, medici, imprenditori, avvocati, notai, professionisti, quadri della pubblica amministrazione, uomini delle forze dell’ordine e della giustizia. Un sistema che non ha bisogno di intimidire, perché decide a monte.

Lo ha detto senza giri di parole Seby Vecchio, ex consigliere comunale ed ex poliziotto, poi pentito: “Ndrangheta, politica, massoneria, servizi deviati […] ormai sono un tutt’uno. Bisognerebbe trovare un nuovo nome per associarle”.

Ma per capire questa verità non basta la cronaca. Bisogna guardare alla storia.

Negli anni ’70 nacque la Santa: un livello segreto della ‘ndrangheta che autorizzava i boss a entrare in logge massoniche, a trattare direttamente con imprenditori, politici, magistrati. Da allora il confine si è dissolto: mafia e massoneria, cosche e colletti bianchi, sono diventati comunicanti.

E così, dal porto di Gioia Tauro agli ospedali, dalle università alle aziende agricole, ogni settore è stato inquinato da un potere invisibile che blocca chi vuole cambiare e favorisce chi serve il sistema.

Il procuratore Giuseppe Lombardo lo ha detto chiaramente: la ‘ndrangheta non è più soltanto mafia. È un ramificato sistema di potere che ha influenzato ogni momento significativo della vita politica ed economica reggina “da almeno quindici anni”. Ma la verità è che dura da molto di più, e che Reggio è solo la punta dell’iceberg.

Seduti sulle panche del processo Gotha ci sono stati uomini insospettabili: avvocati, ex parlamentari, massoni di alto grado, figure che oscillano tra la toga e la coppola, tra la loggia e la lupara. Burattini e burattinai che decidono quali appalti assegnare, quali carriere lanciare, quali vite stroncare.

E allora la domanda diventa una: come può una terra costruire futuro se il presente è sequestrato da questo potere invisibile?

La Calabria è come una clessidra, diceva un collaboratore di giustizia: in basso vediamo solo la sabbia, i piccoli clan, i piccoli traffici. In alto c’è il “sopramondo”, l’élite invisibile che decide, orienta, condiziona. È lì che si spegne ogni speranza. È lì che il talento dei giovani non trova spazio, perché il merito non è mai criterio, perché i giochi sono già fatti prima ancora di cominciare.

E quando qualcuno osa toccare quel fuoco, il prezzo è altissimo. L’omicidio di Francesco Fortugno, a Locri nel 2005, è stato uno spartiacque: la dimostrazione che la componente occulta è disposta a tutto pur di sopravvivere.

Questa è la vera: una terra formalmente governata da giunte e consigli, ma realmente controllata da poteri che non si candidano, che non fanno comizi, che non chiedono voti, eppure decidono tutto. Una Calabria imbavagliata, dove le istituzioni visibili sono solo la facciata di un palazzo costruito altrove.

Ed è per questo che parlare di turismo, di sviluppo, di lavoro, senza prima affrontare questa metastasi, significa raccontarsi favole. Non c’è mare, non c’è montagna, non c’è patrimonio culturale che possa decollare se il sistema resta bloccato da dentro.

La verità è che in Calabria non c’è assenza di futuro: c’è sottrazione di futuro. Viene rubato, anno dopo anno, da chi usa la segretezza come scudo e la complicità come moneta.

Un tempo dicevamo che la Calabria era senza futuro. La verità è peggiore: il futuro ce lo hanno rubato. E chi prova a chiederlo indietro rischia di pagarlo con la vita. Questa è la ferita che dobbiamo guardare, senza più abbassare lo sguardo.