Mammasantissima

Onorata società addio, il giorno che Reggio Calabria scopre la ‘ndrangheta moderna

VIDEO | Il 20 gennaio del 1975 l’omicidio di Antonio Macrì decreta la fine dei vecchi padrini e segna l’ascesa di nuovi boss destinati a cambiare la storia del crimine organizzato. A “Mammasantissima” la storia della prima guerra di mafia

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di Marco Cribari
15 maggio 2024
07:00

C'è una data che fa da spartiacque nella storia lugubre della mafia calabrese, un giorno cerchiato di rosso che segna il passaggio dall'epoca dei vecchi padrini a quella dei nuovi boss. La sesta e ultima puntata di "Mammasantissima", è un tuffo nel passato che ci riporta a quando ebbe tutto inizio. Il 20 gennaio del 1975, con l'uccisione di Antonio Macrì alias "Zi 'Ntoni", si gettano le basi per la nascita della 'ndrangheta così come la conosciamo oggi. Quel giorno, infatti, muore colui il quale, fino ad allora, ha incarnato il potere assoluto della vecchia Onorata società.

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Amico dei siciliani e dei camorristi, uomo capace di estendere la propria influenza fino agli Stati Uniti, divenuto ricco grazie al contrabbando di sigarette, l'allora settantenne Macrì viene freddato a colpi di pistola, nella sua Siderno, mentre ha appena finito una partita a bocce con gli amici. Le immagini dell'epoca, con un corteo di diecimila persone che segue il suo feretro fino al camposanto, documentano ciò che aveva rappresentato fino a quel momento l'anziano boss, ma danno anche consistenza al cambiamento epocale in corso.


Al riguardo, il pensiero del collaboratore di giustizia Giacomo Lauro è molto netto. L'audio originale di una sua testimonianza in aula, durante un processo, suona quasi come un'orazione funebre: «Io credo che ai funerali di Macrì parteciparono tutti coloro che avevano interesse di rendere omaggio a un uomo che, fino al momento della sua morte, aveva onorato la 'ndrangheta».

Quella in corso all'epoca è una mutazione profonda che sarà scandita da una scia di sangue e di lutti. A volere la morte di Macrì sono stati i fratelli Paolo e Giorgio De Stefano di Reggio Calabria. Sono loro che, forti di una solida alleanza con la famiglia Piromalli di Gioia Tauro, osano violare il precetto dell'unitarietà della 'ndrangheta sancito nel 1969 dopo il summit di Montalto. Del resto, era un equilibrio fragile quello raggiunto sei anni prima, che non poteva resiste agli scossoni del tempo, alle trasformazioni sociali e, per certi versi, antropologiche della malavita.

Le immagini, come al solito, valgono più delle parole. Un giovanissimo Paolo Pollichieni porta Joe Marrazzo davanti a un reperto sinistro: la carcassa dell'auto utilizzata dai sicari per uccidere Macrì. «Lupare, ovviamente», dà per scontato il grande giornalista d'inchiesta e scrittore. «No, raffiche di mitra oltre che lupare», risponde l'allora cronista della Gazzetta del sud. La svolta modernista del crimine passa anche da questi dettagli.

Comincia così la prima guerra di mafia che tra il 1975 e l'anno successivo lascerà sul campo ben 194 morti. Gli eredi di Macrì, infatti, non ci stanno a lasciare il segno del comando. Fanno fronte comune con il gruppo di Mico Tripodo, boss di Sambatello. «Ma l'onorata società non può reggere quel processo di modernizzazione», evidenzia Francesco Forgione, già presidente della commissione parlamentare Antimafia. La storia andrà esattamente così.

Giornalista
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