L’analisi

Per risolvere i problemi della Giustizia in Calabria non basta la calcolatrice: servono risposte nelle aree in cui la ’Ndrangheta controlla tutto

Necessari investimenti sulle forze dell’ordine per intercettare gli affari di cosche sempre più «invisibili». Tanti appelli al Csm nell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2024, ma il ministero della Giustizia può essere il vero protagonista del cambiamento

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di Antonio Alizzi
28 gennaio 2024
15:20

Da Torino a Palermo si è alzato un unico coro nel giorno dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2024. Nei tribunali servono più magistrati. E la presenza di togati – pm e giudici - è più che mai necessaria in Calabria, dove la scopertura d’organico rimane il primo problema di tipo organizzativo nei distretti giudiziari di Reggio Calabria e Catanzaro.

Nei due eventi che si sono tenuti nelle sedi della Corte d’Appello di Catanzaro e della Corte d’Appello di Reggio Calabria si sono affrontati vari temi. A volte anche in maniera strumentale, come se fosse in corso la campagna elettorale per decidere il nuovo Consiglio Superiore della Magistratura. Ma ci sta, è il gioco delle parti. Tuttavia, è giusto precisare che quando si parla di ruoli direttivi e semidirettivi scoperti è opportuno spiegare che le nomine non avvengono in base alle esigenze dei territori. Facciamo un esempio. La procura di Catanzaro ha un vicario dal mese di ottobre visto la partenza di Gratteri a Napoli. Il suo posto oggi viene occupato dal procuratore facente funzioni Vincenzo Capomolla. Il Csm non decide in base all’importanza degli uffici, perché da questo punto di vista tutti sono fondamentali, sia i più grandi che i più piccoli. Ed è qui che nasce l’equivoco quando viene dichiarato che si può fare di più, accelerando sulle nomine. Più che un segnale concreto possiamo dire che si tratta di segnale politico-giudiziario, poiché è notorio, tanto per capirci, che Palazzo dei Marescialli deciderà gli incarichi direttivi più delicati soltanto nei prossimi mesi. E per prossimi s’intende il periodo estivo se non quello antecedente all’inizio del prossimo autunno.


Di recente la quinta commissione del Csm ha votato per le presidenze delle Corti d’Appello di Catanzaro e Reggio Calabria. E ci sono voluti diversi mesi affinché si arrivasse a questa scelta. Il calendario tuttavia è folto, ma c’è una logica del “posto vacante” da considerare in tutto ciò. Le prossime scelte saranno quelle per la presidenza del tribunale di Cosenza e a seguire per le procure di Crotone e Paola. Soltanto superata questa fase, si metterà mano al successore di Gratteri e magari qualche candidato, che ha presentato anche domanda altrove, sarà ormai fuori dai giochi. Infine, toccherà alla procura di Cosenza che per il dopo Spagnuolo, il cui pensionamento è previsto da fine marzo 2024, sarà coordinata dal procuratore aggiunto Antonio D’Alessio. Fatta questa premessa di tipo consiliare, entriamo nel merito delle dichiarazioni rese nella giornata di ieri.

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Catanzaro e dintorni

La presidente facente funzioni Gabriella Reillo da tempo è impegnata a cercare di mettere mano ad alcune problematiche che attanagliano il Distretto. In passato era stata sollevata la polemica da parte dell’avvocatura sulle richieste di ingiusta detenzione, oggi il tema caldo riguarda la possibilità di far celebrare i processi nelle sedi ordinarie. È di ieri l’appello della Camera Penale di Cosenza sulla necessità che “Reset” venga svolto in una vera aula di giustizia e non nell’aula bunker di Lamezia Terme, la cui realizzazione è stata ritenuta dal procuratore generale di Catanzaro Giuseppe Lucantonio come un fiore all’occhiello dal punto di vista dell’edilizia giudiziaria. In questo caso però non si può non far notare che senza l’avvio di maxi indagini non sarebbe stato obbligatorio mettere mano alla struttura dell’ex Fondazione Terina. Perché anche prima dell’aula bunker di Lamezia Terme, i processi in Calabria si celebravano lo stesso e le cosche mafiose venivano severamente condannate rispetto alle gravi accuse contestate dalla Dda di Catanzaro e quella di Reggio Calabria.

Cosa diversa è vantare la riconversione dell’ospedale militare di Catanzaro, avendo dato finalmente ai magistrati antimafia e non, una sede tutta “propria” per lavorare nel miglior modo possibile. Senza dubbio una scelta azzeccata che permette ai togati di avere un’indipendenza professionale rispetto all’esperienza condivisa con i colleghi che prestano servizio presso la Corte d’Appello di Catanzaro e la procura generale.

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Il tema invece delle risposte di giustizia che attendono i cittadini è ormai un “leitmotiv” di ogni manifestazione che riguarda l’anno giudiziario. Il procuratore generale di Catanzaro Lucantonio ha dichiarato che in Calabria è difficile lavorare nel settore giustizia perché esistono associazioni coperte, intendendo la massoneria, e poteri deviati, massoneria più ‘ndrangheta. Ha ammesso che pure la magistratura non è esente da responsabilità ed errori criticando le scelte governative sul fatto che le risorse del Pnrr siano state destinate più al comparto dei giudicanti che a quello dei requirenti. Questo per dire che va bene dare risposte all’Europa – vedi l’istituzionalizzazione dell’addetto all’ufficio del processo che fornisce un contributo quotidiano alla cultura della giurisdizione – ma la Giustizia si amministra in tutte le sue sfaccettature. E su questo non può che avere ragione ma il ragionamento da fare è più ampio e complesso. Le risorse da trovare e destinare a chi deve dare risposte per conto dello Stato sono anche quelle che riguardano le forze dell’ordine, visto che esistono territori in Calabria dove l’incessante aumento di reati – omicidi, estorsioni e quant’altro – non viene contrastato adeguatamente dalla magistratura inquirente. Non per mancanza di volontà ma semplicemente perché si fa sentire l’assenza di investigatori nelle zone dove la ‘ndrangheta comanda anche il movimento delle foglie.

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Basti pensare a ciò che succede da oltre cinque anni nella Sibaritide, una zona che meriterebbe un rafforzamento investigativo e un’attenzione maggiore da parte del ministero della Giustizia che prima di muovere un dito usa la calcolatrice per decidere se ampliare o meno la pianta organica. E di pianta organica insufficiente si può parlare anche nei tribunali di Crotone e Vibo Valentia, dove ormai il quadro è da codice rosso. A tal proposito esistono due verità. La prima, il turn over, ovvero il “mordi e fuggi” da parte di chi sceglie come prima nomina un tribunale “di frontiera” per poi ottenere tre anni dopo il trasferimento ad altra sede. Il secondo riguarda invece la mancata presentazione di candidature per questi circondari. Il nostro network ha raccontato diverse volte come i concorsi esterni per queste sedi giudiziarie siano andati deserti. In parole povere, nessuno (o quasi) aveva presentato domanda per andare a Crotone, Vibo Valentia e anche a Lamezia Terme, come ha evidenziato il procuratore di Vibo Camillo Falvo. Ma nell’elenco possiamo inserire anche Paola, mentre Cosenza e Castrovillari, secondo quanto asseriscono dal Csm, vivono una realtà diversa che non desta allarmismo. L’esatto contrario di quanto pensano ultimamente nella sezione penale dibattimentale cosentina dopo essere stati “travolti” dal processo “Reset” che rischia di far bloccare i restanti processi ordinari. Insomma, la realtà è ben diversa dalle parole.

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Reggio Calabria e non solo

Nel Distretto giudiziario di Reggio Calabria, vista la mole di lavoro giornaliera, è addirittura inutile parlare di scopertura d’organico perché servirebbe davvero un provvedimento ad hoc di via Arenula per dare un sostegno concreto a chi lotta tutti i giorni contro la criminalità organizzata di stampo mafioso. La provincia reggina infatti può essere considerata la “patria” della ‘Ndrangheta e il procuratore capo Giovanni Bombardieri ha ripescato la sentenza “Gotha” per far capire a chi legge e ascolta che la mafia calabrese oggi è sempre più invisibile al fine di aumentare il proprio volume d’affari. Le cosche reggine ormai non sono più soltanto un problema delle due Dda calabresi ma lo sono anche per chi lavora oltre il Parco Nazionale del Pollino.

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È di ieri la dichiarazione del procuratore facente funzioni della Corte d’Appello dell’Aquila sulle presunte infiltrazioni mafiose in Abruzzo: «Il delicatissimo compito che è assegnato alla Direzione distrettuale antimafia della Procura dell'Aquila, di arginare fenomeni mafiosi e terroristi, richiederebbe una pianta organica più adeguata. Al riguardo vanno segnalati i numerosi procedimenti penali in corso, a carico di svariati gruppi criminali di etnia albanese, rom, nigeriana, maghrebina, nonché di delinquenza locale e di origine foggiana. In tutto il territorio abruzzese rilevata tra l'altro la presenza di capitali riconducibili ad origine mafiosa e, in particolare, alla 'ndrangheta». Questo conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che è doveroso da parte dello Stato mantenere inalterato ciò che funziona – ovvero le intercettazioni contro i mafiosi o i terroristi – migliorando il Codice di procedura penale (e il codice penale) come chiede da tempo il procuratore Nicola Gratteri che proprio ieri a Napoli ha detto di aver capito come funziona la Camorra: «Da quando sono qui a Napoli ho avuto la conferma che esistono tre livelli camorra. C'è chi si ammazza per controllare 200 metri quadrati di territorio, la camorra infiltrata nell'imprenditoria e quella che è molto avanti nel dark web. Per contrastare questi tre livelli di camorra servono tre livelli di specializzazioni che nelle forze dell'ordine abbiamo. Tantissimi fatti di sangue sono stati scoperti anche di recente, dunque le forze dell'ordine sono di altissimo livello e di qualità».

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L’altro argomento che può lanciare un dibattito serio in Calabria e altrove, è quello introdotto dal procuratore generale di Reggio Calabria Gerardo Dominijanni, quando afferma che «occorrerà prendere atto che la politica è distante da Reggio Calabria, da Platì, da San Luca, da Rosarno, da Oppido». È una denuncia forte e precisa quella che lancia il magistrato calabrese perché avverte il bisogno di scuotere lo Stato affinché il malessere popolare non venga “risolto” dalla ‘ndrangheta considerata come un’impresa illecita ma capace comunque di dare risposte più veloci ai disoccupati. Non si può non condividere questa affermazione se si tiene conto che il narcotraffico sia diventato ormai il vero business della mafia calabrese. Ormai tutti possono spacciare droga e ottenere a fine mese uno “stipendio” che magari dà la possibilità a quel “padre di famiglia” di mandare i figli a scuola o all’Università. Quel “facile guadagno” - seppur causi disagi al corpo e alla mente – può essere l’unica entrata per quel nucleo familiare. E lo Stato cosa fa? C’è la fase della repressione del fenomeno criminale, ma oltre quello c’è davvero poco. Il Governo centrale non riesce a trovare soluzioni concrete per quei lavoratori che rischiano di non pagare da domani l’affitto di casa o il mutuo in banca. Chi può approfittarne? La ‘ndrangheta, purtroppo.

Il plauso dunque va alla magistratura che ogni giorno si rimbocca le maniche lavorando in silenzio per eliminare le sacche malavitose che bloccano la crescita della Regione Calabria a cui manca una classe dirigente capace di programmare e investire in turismo (mare e montagna) e agricoltura. Per non parlare della Sanità che è diventata la spada di Damocle di ogni legislatura.

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