«Quello è il più grande truffatore della Terra». Giro milionario di fatture false nel Reggino

Le accuse di riciclaggio, bancarotta e frode fiscale hanno portato all’arresto di Vincenzo Morabito e al sequestro preventivo nei confronti di Girolamo Strangi, entrambi ritenuti vicini alle cosche di 'ndrangheta. Coinvolte altre persone, ecco come funzionava il meccanismo e tutti i nomi

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di Redazione
9 maggio 2019
09:40
Guardia di finanza
Guardia di finanza

I finanzieri del comando provinciale di Reggio Calabria, con il supporto del Servizio centrale investigazione criminalità organizzata, hanno arrestato Vincenzo Morabito, 51 anni, ed eseguito una misura interdittiva per 12 mesi dalla professione nei confronti di Giusi Laorosa, 38 anni. Le accuse mosse dalla Dda reggina, retta da Giovanni Bombardieri, sono a vario titolo quelle di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, alla bancarotta fraudolenta e alla frode fiscale. Le fiamme gialle inoltre, hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo, emesso dall’Antimafia, nei confronti di Girolamo Strangi, 75 anni, Demetrio Rossini, 56 anni, Immacolata Leonardo, 52 anni, e per Giusi Larosa. Sequestrato il patrimonio, riconducibile a queste persone, il cui valore è di cinque milioni di euro ed è distribuito nelle provincie di Reggio Calabria, Siena, Milano, Roma, Catania e  Vicenza.

Le indagini della Guardia di finanza

Le misure cautelari costituiscono l’epilogo delle indagini condotte dal nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza, in relazione ai fallimenti ,dichiarati dal Tribunale di Reggio Calabria, tra il 2010 e il 2015 – di alcune imprese operanti nel settore del commercio di elettrodomestici ed apparecchi televisivi. In particola si tratta della “Gtm.com. S.a.s. di Domenico Tavani”, “Southware Srl”, “Fd Elettronics Srl” e “Gisa Srl”. Le investigazioni svolte avrebbero permesso di rilevare l’esistenza di una struttura organizzata, composta da 10 responsabili, dotata di un meccanismo ben collaudato, posta in essere con lo scopo di evadere le imposte in modo fraudolento e sistematico, sia attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture relative ad operazioni inesistenti sia attraverso l’omessa dichiarazione dei redditi prodotti, portando al fallimento le società non ritenute più idonee allo scopo illecito e riciclando i relativi proventi delittuosi.


Il ruolo di Vincenzo Morabito

Per gli inquirenti il “dominus” , in termini commerciali e amministrativi – del sistema fraudolento è Vincenzo Morabito. Il gruppo criminale avrebbe inoltre, “distratto” le merci e i beni aziendali nonché le relative disponibilità finanziarie attraverso numerose operazioni bancarie, come l’emissione di assegni, la disposizione di bonifici dai conti corrente societari verso conti personali e cospicui prelevamenti in contanti, di un valore sproporzionato rispetto alla consistenza patrimoniale della società, causandone il dissesto e la successiva bancarotta. L'attività investigativa ha svelato frequenti contatti tra Morabito e Girolamo Strangi, relativi a flussi finanziari giustificati da rapporti commerciali, apparentemente leciti, tra le società riconducibili alla loro occulta gestione, nonché ha accertato l’esistenza di movimentazioni finanziarie da e verso un gruppo di 7 società consortili di comodo, aventi sede legale nel veronese riconducibili allo stesso Strangi. Società formalmente amministrate da soggetti di origine calabrese, gravati da numerosi precedenti penali, e tutte dichiarate fallite, nonché bonifici eseguiti verso una società maltese amministrata da Giusi Larosa all’epoca dei fatti convivente di Morabito e titolare di cariche in 5 società.

La bancarotta fraudolenta

Con questi trasferimenti, effettuati anche in maniera frazionata per eludere la normativa antiriciclaggio ed ostacolarne la provenienza delittuosa, venivano “ripuliti” diversi milioni di euro, causando il dissesto e la successiva fraudolenta bancarotta delle società “Gtm.com. s.a.s. di Domenico Tavani”, “Southware S.r.l.”, “F.D. Elettronics S.r.I.” e “Gisa srl”. Ed è per questo che il gip reggino ha accolto la richiesta della Procura e ha emesso la custodia cautelare in carcere per Morabito e l’interdizione dall’esercizio di imprese per 12 mesi per Giusi Larosa.

Il sequestro beni

I finanzieri poi, hanno ricostruito le acquisizioni patrimoniali, dirette e indirette effettuate dagli indagati, negli ultimi 22 anni, per tutto l’arco temporale intercorrente dal 1997 ad oggi, accertando l’effettiva esistenza di una rilevante sproporzione tra il profilo reddituale e quello patrimoniale. Per questo motivo, la Dda reggina, ha emesso nei confronti di Strangi, Rossini, Leonardo e Larosa, provvedimenti di sequestro sul patrimonio a questi ultimi riconducibile costituito da cinque imprese, quote di capitale di quattro società commerciali, 25 fabbricati, 2 terreni, un veicolo e disponibilità finanziarie, del valore complessivo stimato in circa 5 milioni di euro. La “caratura” criminale di Morabito e Strangi, rende noto la Guardia di Finanza nonché la loro vicinanza alla criminalità organizzata del versante tirrenico reggino, ossia le cosche Bellocco - Piromalli - Rugolo, che nel centro cittadino  ossia le cosche De Stefano – Tegano, è emersa in diverse operazioni di polizia.

L’operazione "Il principe"

Nel dettaglio, Vincenzo Morabito, definito da un collaboratore di giustizia “uno dei più grandi truffaldini che io abbia conosciuto nella storia della terra”, è stato coinvolto nell’operazione “Il Principe” condotta dalla Questura e dal Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria per il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso, ai danni della CO.BAR. SPA (ditta aggiudicataria dell'appalto pubblico per la ristrutturazione del Museo della Magna Grecia di Reggio Calabria), ed in particolare  “addebitando allo stesso di aver preso in consegna una somma di denaro pari a 15/20.000,00 euro circa, costituente la prima tranche dei pagamenti estorti alla CO.BAR. S.p.a. dalla cosca De Stefano”.

La figura di Girolamo Strangi è emersa invece, nell’ambito delle indagini svolte dall’allora nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Ferrara, sotto il coordinamento delle Procure di Ferrara e di Bologna, in cui era risultato interessato – tra gli altri – Massimo Ciancimino, (figlio di Vito Ciancimino)  per evasione fiscale e reati come “l'omessa tenuta delle scritture contabili”, l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, falso, frode doganale, inizialmente aggravati dall’“agevolazione mafiosa”.

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