È quanto viene contestato al funzionario dell’Agenzia regionale finito tra gli indagati per rifiuto di atti d’ufficio: dopo il sopralluogo non fu rilevata l’inosservanza di una delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione all’impianto
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Per chi indaga, all’origine dello sversamento di percolato dalla discarica di Scala Coeli non ci sarebbe alcun incidente, ma una serie di condotte non conformi che avrebbero portato al disastro ambientale ipotizzato come reato a carico di cinque persone. Per uno di loro, il direttore dei lavori di ampliamento dell’impianto Giuseppe Tomei, è arrivata anche la misura cautelare del divieto temporaneo di esercitare l’attività professionale di ingegnere per un anno. Ma nel calderone dell’inchiesta è finito anche un funzionario dell’Arpacal: l’accusa è di rifiuto di atti d’ufficio.
La vicenda, insomma, non avrebbe affatto inizio quel 22 giugno 2023 con la fuoriuscita del materiale poi confluito nei corsi d’acqua, episodio che sarebbe al contrario il triste epilogo di quanto fatto – e non fatto – nei mesi precedenti. La data di inizio si può far risalire al 20 novembre 2019, quando con decreto n. 14284 la Regione Calabria autorizzava la Bieco, proprietaria del sito, ad ampliare la discarica costruendo un secondo bacino per l’abbanco dei rifiuti. È a questo decreto che il gip del Tribunale di Castrovillari fa riferimento nell’applicazione della misura cautelare della sospensione dall’esercizio per il funzionario Arpacal.
Tra le prescrizioni allegate al provvedimento, alle quali era vincolato l’avvio dell’esercizio dell’impianto, c’era infatti quella che imponeva che «la raccolta e l’allontanamento delle acque di percolamento, prodotte dalla nuova vasca della discarica» dovesse «avvenire con modalità e frequenza tale da garantire la completa rimozione del percolato insistente al di sopra del sistema di impermeabilizzazione». Il passaggio è riportato anche nell’ordinanza di sequestro del 29 ottobre scorso.
Il completamento dei lavori viene comunicato dalla Bieco alla Regione l’11 ottobre 2022. In seguito a sopralluogo dell’Arpacal, il 25 dello stesso mese la discarica entra in funzione.
Ma appena due mesi dopo un esposto del circolo locale Nicà di Legambiente, datato 19 dicembre 2022, segnala la presenza anomala di percolato al di sopra dello strato di impermeabilizzazione dell’invaso. È da qui che tutto si mette in moto.
Il Dipartimento regionale Ambiente chiede di verificare quanto segnalato. Il sopralluogo dell’Arpacal avviene il 2 gennaio 2023. Ed è quello finito nel mirino del gip. Che nella sua ordinanza ricorda gli esiti riportati a verbale e in particolare questi: «Quanto al percolato presente nell’invaso, si riscontrava un ammontare accumulatosi sul fondo della discarica per circa 40 cm di profondità, operando in quel momento mezzi adibiti alla compattazione dei rifiuti; quanto alla rimozione del percolato, dal registro carico-scarico risultava che per il mese di dicembre i liquidi erano stati avviati a smaltimento, con il gestore che affermava che dette operazioni di rimozione erano in corso di completamento, aggiungendo che era stato attivato l’impianto ad osmosi inversa per il trattamento in sito del percolato». Quest’ultimo, invece, sarebbe stato attivato solo il primo marzo successivo, «peraltro – scrive il gip – con funzionalità ridotta alla metà di quanto previsto in progetto».
Nessuna segnalazione, nel verbale relativo a quel sopralluogo, della violazione di quanto prescritto nel decreto di autorizzazione in merito alla rimozione del percolato dall’invaso. È questo che viene contestato al funzionario Arpacal. «Nell’esercizio delle funzioni, pur avendo accertato, a seguito di controllo ispettivo effettuato in data 02.01.2023, la presenza di circa 40 cm di percolato sul fondo del secondo invaso, avrebbe omesso di redigere un compiuto verbale ispettivo contenente, in particolare, il riscontro della violazione del provvedimento A.I.A. D.D.G. n. 14284 del 20.11.2019, nella parte in cui impone al titolare della discarica la completa rimozione del percolato insistente al di sopra del sistema di impermeabilizzazione; avrebbe, altresì, omesso di effettuare le conseguenti comunicazioni alle competenti autorità amministrative e giudiziarie, alle quali era tenuto per legge».
Tra le criticità rilevate dal consulente tecnico incaricato dalla Procura durante le indagini, come si legge nell’ordinanza di sequestro, c’è proprio il mancato recepimento di alcune prescrizioni contenute nell’autorizzazione, tra cui «la tolleranza di un eccessivo battente di percolato» affiorante dai rifiuti stoccati che «era sempre al di sopra di un metro» e «l’insufficiente attività di allontanamento del percolato dall’invaso». In merito a quest’ultimo punto, l’ordinanza del 29 ottobre scorso richiama proprio la «visita ispettiva successiva agli esposti di Legambiente» in riferimento alla quale «il consulente (…) calcolava che nel solo dicembre (2022, ndr) l’impianto aveva accumulato 2.853,78 mc di percolato a fronte di scarichi per 598,38 mc».