Ferragosto di sangue

Sedici anni fa la strage di Duisburg, quella grave debolezza della ‘ndrangheta che svelò strutture e strategie cambiandone la storia

Il 15 agosto del 2007 fa il mondo scopriva ferocia e potenza delle cosche calabresi. Ma la mattanza in terra tedesca segnò l’involontaria fine della strategia della sommersione, aprendo una stagione di grandi inchieste che alzò definitivamente il livello delle indagini

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di Consolato Minniti
15 agosto 2023
14:01

Duisburg (Germania), ore 2.24 del 15 agosto 2007. Sono le coordinate di una strage che non solo lascia sull’asfalto sei morti ammazzati, ma rappresenta uno dei più grossolani – e consapevoli – errori strategici della ‘Ndrangheta. Che non sono molti, ma quando accadono fanno parecchio rumore. Perché, dopo quella mattanza, nulla sarà più come prima nel contrasto a quella che è, ancora oggi, l’organizzazione criminale più potente. 

Sono trascorsi 16 anni da quella notte infernale in cui il mondo si accorge, in modo improvviso e cruento, di quanto sia pervasiva la presenza della ‘Ndrangheta anche nella laboriosa e “tranquilla” Germania. Un pugno nello stomaco difficile da mandare giù per la struttura delinquenziale calabrese avvezza, nel corso degli anni, ad una ben più remunerativa strategia della sommersione. In fondo, la regola è sempre la stessa: niente azioni eclatanti per non disturbare il “business”. E Duisburg, in tal senso, ne rappresenta un evidente momento di debolezza.


I numeri della mattanza

Nella notte dell’Assunta del 2007, di fronte al ristorante “Da Bruno”, in sei vengono trucidati: Tommaso Venturi, 18 anni; Francesco Giorgi, 16 anni; Francesco Pergola, 22 anni; Marco Pergola, 20 anni; Marco Marmo, 25 anni; Sebastiano Strangio, 39 anni. Tutti trascorrono la serata nel ristorante di proprietà di Strangio. C’è da festeggiare il 18esimo compleanno di Tommaso Venturi. Tra i suoi oggetti personali verrà ritrovato anche un santino bruciacchiato di San Michele Arcangelo, segno inequivocabile dell’avvenuta affiliazione alla ‘Ndrangheta.

I killer sono freddi. Spietati. Agiscono sparando oltre 50 colpi d’arma da fuoco, cogliendo le vittime nell’atto di entrare nelle rispettive autovetture. I sicari hanno persino il tempo di ricaricare le armi e non risparmiano neppure il colpo di grazia per ciascun obiettivo. C’è da mettere una firma inequivocabile, una che possa far capire da dove provenga una carneficina di quelle dimensioni inflitta a persone reputate più o meno vicine alla cosca Pelle-Vottari: è la firma della famiglia mafiosa dei Nirta-Strangio di San Luca.

Le indagini si indirizzano subito verso la strada della vendetta a seguito dell’ultimo evento eclatante della faida di San Luca, la strage di Natale del 2006, nel corso della quale viene uccisa Maria Strangio, moglie di Giovanni Luca Nirta.

La faida tra Nirta-Strangio e Pelle-Vottari è roba assai risalente nel tempo, iniziata con un banale scherzo di carnevale e divenuta una mattanza senza fine che ha portato addirittura alla convocazione di una commissione provinciale, composta dalle principali famiglie ‘ndranghetistiche reggine, per ricomporre la frattura. Tutto inutile. Perché, a distanza di tempo, il rumore delle armi è tornato a fare capolino nella Locride. 

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Il mondo scopre la ferocia della ‘Ndrangheta

Il risveglio dei tedeschi, nel giorno di Ferragosto di 16 anni fa, è tremendo. D’improvviso tornano d’attualità tutti quegli avvisi giunti da tempo dalle autorità italiane: la ‘Ndrangheta ricicla enormi quantità di denaro in Germania. Ma da Berlino rispondono picche. La legislazione tedesca non consente un’attività repressiva come quella italiana. Non si tratta certo di un business improvvisato, quello che parte dalla Calabria. Da diversi decenni numerosi esponenti della criminalità organizzata calabrese si spostano con regolarità nell’Europa nordica, per mettere al sicuro e far fruttare gli ingenti introiti realizzati con il narcotraffico e le altre attività delinquenziali. L’Italia è un paese ormai difficile ove porre in essere condotte di riciclaggio. La normativa è molto avanzata e la lotta ai patrimoni illeciti non conosce sosta. Meglio virare verso altri lidi. Di certo più tranquilli e che destano meno sospetti. Come la Germania, dove la nutrita colonia di calabresi presenti, che vivono e lavorano onestamente, rappresenta la copertura perfetta per non creare eccessivo allarme. Invece le autorità italiane scorgono questo segnale e si rivolgono più volte ai colleghi tedeschi. 

La strage di Duisburg rappresenta niente più di un errore strategico che, col fragore di un temporale estivo, si abbatte sull’Europa. Il mondo osserva l’emersione quasi causale di un fenomeno carsico in movimento da diversi lustri. Una sorta di fessura da cui sgorga il rivolo che consente di comprendere cosa scorra al di sotto delle tranquille terre tedesche. Basti pensare che, addirittura sei anni prima, un’indagine italiana pone l’accento sul ristorante “Da Bruno”, con tanto di indicazione alle autorità della Germania. Ma non accade nulla. 

Strangio e quell’errore consapevole in nome del potere

Le indagini italiane sui fatti di Duisburg permettono di giungere ben presto all’identificazione della mente della strage. Si tratta di Giovanni Strangio (condannato, con altri imputati, alla pena dell’ergastolo), ufficialmente imprenditore attivo nel settore della ristorazione in Germania e con un’ottima capacità di destreggiarsi tra il territorio italiano e quello tedesco. È il cugino di Maria Strangio, uccisa nell’agguato di Natale 2006. Il suo casellario giudiziario non dice molto. Eppure gli inquirenti italiani sono convinti: c’è lui dietro quell’azione così eclatante. Anche un identikit ne ritrae i lineamenti essenziali e fa il giro del mondo.  

Ma è davvero ipotizzabile che coloro che hanno progettato una mattanza del genere non abbiano messo in conto i risvolti di un simile atto? Difficile credere di no. Più probabile immaginare che la voglia di riaffermare la supremazia di una famiglia rispetto all’altra, così come la sete di vendetta per i fatti precedenti, abbiano finito per prevalere, facendo valutare ai Nirta-Strangio l’ipotesi che i riflettori venissero puntati nuovamente su San Luca e sulla ‘Ndrangheta tutta.

Emblematico il commento che il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, dà ad una radio tedesca della faida di San Luca: «La storia ci insegna che le faide sono come i vulcani, possono state anche 50 anni, 80 anni spenti e poi all’improvviso c’è un’eruzione perché l’odio dentro rimane». Frase non casuale, considerato che, dopo la strage di Duisburg, il Crimine di San Luca impone la pace alle due famiglie. Troppo grande il danno procurato per poter continuare con il sangue e le azioni eclatanti. 

Cosa cambia dopo Duisburg

Quanto avvenuto in terra tedesca, per dirla con le parole del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, è un episodio «dove le mafie in realtà non hanno mostrato la propria forza, ma la loro debolezza». 

Il motivo è presto detto. Fino ad allora, la ‘Ndrangheta viene vista come una struttura criminale orizzontale. Un insieme di cosche con forte radicamento territoriale e una componente familistica spiccata. Ma quella è una visione ampiamente superata della ‘Ndrangheta, la cui struttura muta all’indomati del summit di Montalto del 1969 e dei successivi “moti di Reggio” del 1970. Si assiste in quell’epoca ad una evoluzione del crimine calabrese che trova il proprio momento cardine nella prima guerra di ‘Ndrangheta, tra il 1974 ed il 1977 e successivamente nella seconda (1985-1991), quella in cui avviene il passaggio dalla struttura orizzontale ad una verticale, di tipo verticistico. È in quel momento che alcune famiglie prendono il sopravvento rispetto ad altre, pur non rappresentando un semplice vertice della ‘Ndrangheta. «La struttura verticale di tipo verticistico – riferisce sempre Lombardo in occasione di un evento in terra tedesca di qualche tempo fa – potrebbe far pensare che oggi la ‘Ndrangheta ha una cellula di comando, un capo, che ne determina l'esistenza, l'operatività degli obiettivi. Non è banalmente così. La ‘Ndrangheta è dotata di una filiera di comando molto sofisticata». Le indagini della Dda di Reggio Calabria certificano innanzittutto quella struttura verticistica con l’inchiesta “Il Crimine”. Poi il livello si alza: arrivano diverse inchieste riunite sotto l’unico maxi processo “Gotha” che portano a ritenere esistente un terzo livello, ossia una componente riservata e segreta della ‘Ndrangheta, una direzione strategica con lo scopo di pianificare programmi con proiezioni anche internazionali. 

Ecco perché quanto accaduto a Duisburg non fa che mostrare una crepa nella capacità delle ‘ndrine di mimetizzarsi sul territorio e seguire i “programmi operativi” dettati dalla direzione strategica. Quella falla, nata con oltre 50 colpi di arma da fuoco in terra tedesca, impone giocoforza un cambio radicale nell’approccio al contrasto del fenomeno ‘ndranghetistico non solo in Italia, ma anche in Europa e nel mondo. 

Non è un caso che, proprio a partire da quegli anni, venga condotta un’azione capillare che depotenzia enormemente le cosche più influenti della provincia reggina, decapitando il gotha delle consorterie ed azzerando, di fatto, l’elenco dei latitanti più pericolosi.

Duisburg, dunque, rappresenta uno spartiacque. In qualche modo, l’inizio della fine della strategia della sommersione che ha consentito alla ‘Ndrangheta di accumulare, nel corso dei decenni, ingenti patrimoni illeciti ancora oggi disseminati in varie parti del globo, allo scopo di inquinare l’economia legale con l’iniezione di capitali assai appetibili. Tanto più se si considera che ormai le grandi mafie non ragionano più come compartimenti stagni, ma come vere e proprie agenzie del crimine che lavorano sinergicamente, come fossero un unico corpo. 

La battaglia, per questo, non può dirsi certamente vinta. Anzi, tutt’altro. Si assiste forse oggi ad una lenta ma inesorabile diminuzione della soglia di attenzione pubblica attorno al fenomeno mafioso. Ed è un lusso che non ci si può permettere. Perché è esattamente ciò che le mafie desiderano: proseguire i loro affari nel silenzio, senza più sparare un colpo, se non strettamente necessario, così tornando in quel cono d’ombra garantito per decenni. Provando a mandare nel dimenticatoio finanche episodi come Duisburg, da consegnare alla storia quali meri incidenti di percorso da non commettere più. Benché ne abbiano condizionato per sempre storia a strategie.

Giornalista
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