Svolta nelle indagini a oltre un anno dal grave agguato contro Massimiliano Sinisi, ferito da tre colpi di fucile. Sullo sfondo un’escalation di violenze e intimidazioni culminate nell’incendio di un’auto
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A più di un anno dalla sparatoria che sconvolse via Pio XI nella notte del 15 luglio 2024, arriva la svolta nelle indagini: su disposizione del Gip Francesca Mesto, la Squadra Mobile di Reggio Calabria ha arrestato Paolo Labate (20 anni), Filippo Labate (19) e Umberto Rogolino (23), con l’accusa di tentato omicidio aggravato dal metodo mafioso nei confronti di Massimiliano Sinisi, 52 anni.
Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia, l’agguato sarebbe la diretta conseguenza di un regolamento di conti scaturito da un’escalation di violenze e intimidazioni, culminate con l’incendio di un’autovettura nei pressi dell’abitazione dei fratelli Labate. Un episodio attribuito proprio a Sinisi, che avrebbe innescato la reazione dei tre arrestati.
La ricostruzione investigativa, considerata “univoca” e “coerente” dal giudice, è frutto di un’intensa attività della Squadra Mobile, tra analisi dei filmati di videosorveglianza, intercettazioni ambientali e testimonianze – seppur frammentarie, data l’omertà diffusa nel contesto criminale.
La sera dell’agguato, dopo un primo scontro verbale, Paolo e Filippo Labate insieme a Umberto Rogolino avrebbero aggredito Sinisi con una mazza da baseball. Non paghi, si sarebbero recati nella zona di Pellaro per recuperare un fucile, poi trasportato nell’abitazione dei Labate. Alle 2:20 di notte, mentre Sinisi rientrava a casa, Paolo Labate – a volto scoperto e in pieno centro abitato – gli avrebbe esploso contro tre colpi, colpendolo all’addome e alla gamba. La vittima, ricoverata in terapia intensiva, è sopravvissuta ma ha subito l’amputazione dell’arto inferiore e un delicato intervento addominale con stomia.
La procura evidenzia l’aggravante del metodo mafioso: l’attacco avrebbe avuto lo scopo di riaffermare il controllo del territorio da parte della cosca Barreca, storicamente radicata nella zona sud della città. Paolo Labate è infatti nipote di Filippo Barreca, attualmente detenuto e ritenuto capo del “locale” di Bocale, e figlio di Francesco Labate, ex collaboratore di giustizia oggi imputato in un procedimento per reati di stampo mafioso.
Nell’ordinanza si sottolinea inoltre il clima di terrore generato dall’agguato: la vittima e i suoi familiari hanno scelto di non collaborare con gli inquirenti, mentre i testimoni, spaventati, hanno inizialmente omesso informazioni decisive. Anche la dinamica dell’attacco – con colpi esplosi mentre la vittima era già a terra – viene interpretata come indicativa di un’intenzione omicida inequivocabile.
Non secondario, il contesto: poche ore prima dell’agguato, due incendi dolosi avevano colpito l’auto di un amico stretto di Sinisi. Gli investigatori ritengono che fosse stato proprio Sinisi a incendiare il veicolo, in un’azione che ha dato il via a una catena di violenze culminata nel tentato omicidio.
Gli arresti segnano un punto cruciale nelle indagini, ma al contempo gettano luce su un tessuto criminale ancora attivo, dove le logiche di vendetta, controllo e intimidazione continuano a scandire la vita dei quartieri, nel silenzio di chi ha paura di parlare.