Tra mafia e terrorismo, gli incontri del presunto boss della ’ndrangheta legato a Prima Linea con l’ex killer delle Brigate Rosse
La Dda di Torino documenta i contatti tra Francesco D’Onofrio e l’ex br Cristoforo Piancone, protagonista di omicidi negli Anni di Piombo. La storia dell’estremista irriducibile che rapinò il Monte dei Paschi di Siena con uno dei calabresi del clan di Carmagnola
Due incontri documentati dall’inchiesta della Dda di Torino tra Francesco D’Onofrio, considerato il punto di riferimento della ’ndrangheta in Piemonte e Cristoforo Piancone, ex brigatista con un curriculum costellato di omicidi negli Anni di Piombo. Tra le pieghe dell’indagine Factotum condotta dalla guardia di finanza di Torino c’è anche quello che potrebbe apparire come un amarcord estremista: i contatti, però, sono sovrastati dalla nuova dimensione assunta da D’Onofrio, dopo essere stato un militante di estrema sinistra, oggi viene accusato di essere un boss.
L’aura, almeno stando alle valutazioni dei pm di Torino, è quella del capo. Francesco D’Onofrio, 68 anni, è considerato il punto di riferimento della ’ndrangheta in Piemonte. Gli affari trasferiti da Vibo Valentia (è nato a Mileto) a Carmagnola, ma il rispetto è rimasto intatto anche in Calabria. Lo ha spiegato il pentito Raffaele Moscato in una recente udienza del processo Maestrale: «Il gruppo di Piscopio sfidava anche il diavolo ma quando parlava Franco D’Onofrio stavano zitti e ascoltavano. Per noi aveva la stessa caratura criminale di Luigi Mancuso». Dichiarazioni ai limiti dell’iperbole per chi segue i fatti di mafia, specie se si cuce addosso a un personaggio che per ragioni ideologiche parrebbe lontano da logiche di ’ndrangheta. E infatti dai sospetti legami con la criminalità organizzata D’Onofrio si è difeso anche rivendicando un’incompatibilità di pensiero. Molti anni fa il presunto boss ha militato in Prima Linea e poi ha gravitato nell’orbita dei Colp, i Comunisti organizzati per la lotta proletaria. Dall’estremismo di sinistra alla ’ndrangheta: una metamorfosi che rende D’Onofrio un’anomalia da indagare.
L’inchiesta Factotum indaga sul presunto capo dei clan in Piemonte, tra le pieghe del decreto di fermo emergono schegge dell’estremista. Non è ideologia; sono rapporti con un passato che affonda negli Anni di Piombo.
I magistrati antimafia torinesi – il decreto di fermo è firmato da Marco Sanini, Mario Bendoni e Paolo Toso, sostituti coordinati dal procuratore Giovanni Bombardieri – dedicano un capitolo a riunioni e incontri nell’abitazione di D’Onofrio che «dimostrano come l’indagato vanti un’ampia rete di relazioni nel mondo criminale, e non solo in ambito mafioso ’ndranghetista». Dai domiciliari gestisce la propria rete di contatti con l’aiuto di Domenico Ceravolo, sindacalista della Filca Cisl, e Claudio Russo, un vero e proprio factotum.
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I due sono deputati alle pubbliche relazioni. Russo, definito «un uomo al servizio di Francesco D’Onofrio», scrivono i magistrati nel decreto di fermo, sarebbe «pregiudicato per gravi reati». Uno viene cerchiato in rosso dagli investigatori: si tratta di «una rapina aggravata commessa nel 2007 ai danni di una filiale del Monte dei Paschi di Siena con Cristoforo Piancone, ex brigatista rosso». Episodio di cronaca per nulla anonimo proprio per via della presenza di Piancone.
Oggi 74enne, l'uomo nato a Grenoble ha un passato da killer delle Brigate Rosse, poi la scomparsa dai radar dopo arresto e condanne e il ritorno ai disonori delle cronache in occasione del colpo in banca. Definito un assassino «freddo e spietato», Piancone lavorava di giorno alla Fiat di Mirafiori e sparava di notte. È stato condannato per sei omicidi e due tentati omicidi. Una lunga scia di sangue: solo a Torino gli furono attribuite responsabilità per gli omicidi del presidente dell'Ordine degli avvocati, Fulvio Croce (ucciso nel '77), del vicedirettore della «Stampa» Carlo Casalegno ('77), del maresciallo di Ps Rosario Berardi (marzo '78) e dell'agente di Polizia penitenziaria Lorenzo Cotugno (aprile '78).
È proprio in questa occasione che fu ferito dalla reazione della vittima e arrestato. Il suo nome finì in un elenco di 13 «prigionieri comunisti» che «la Dc e il suo governo» avrebbero dovuto liberare per ottenere il rilascio di Aldo Moro.
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Detenuto modello – i primi benefici della sua lunga detenzione arrivano negli anni 90 – e allo stesso tempo irriducibile: Piancone non si è mai pentito e non ha mai fatto il nome dei suoi complici.
Nell’inchiesta Factotum compare in una nota degli inquirenti che si riferisce a un incontro del 21 aprile 2023. Un faccia a faccia tra l’ex brigatista e D’Onofrio che sarebbe stato organizzato da Russo e Ceravolo. Gli investigatori appuntano una breve biografia di Piancone, «nato in Francia il 3 dicembre 1950, pluripregiudicato (tratto in arresto per la rapina alla banca Monte Paschi, sede centrali di Siena assieme a Claudio Russo), ex terrorista appartenente alle Brigate Rosse con il nome di battaglia “Gerard” (Russo infatti lo chiama Gerardo), o “Sergio”, ha vissuto a Torino e la sua prima azione di fuoco fu commessa nel 1975, fino ad arrivare all’uccisione dell’agente di custodia Lorenzo Cutugno del 1978, dove venne ferito anche lui e fu successivamente arrestato».
Piancone non è indagato: incontra nuovamente D’Onofrio l’11 ottobre 2023 alle 22,43, questa volta assieme a Claudio Russo e a un altro uomo (Ceravolo non c’è). Un incontro tra vecchi militanti dell’estremismo di sinistra: Prima Linea (e poi Colp) uno, Brigate Rosse l’altro. Dietro D’Onofrio, però, 40 anni dopo gli Anni di Piombo, c’è l’ombra della ’ndrangheta.