La donna della quale voglio raccontarvi ha vissuto circa cento e tre anni - età nella quale recitava ancora Dante a memoria - da maestra a direttrice didattica, infine ispettrice, ma sempre poetessa, insomma, più di cent’anni di urgenza poetica. Pressante il sentimento, melodico il verso, i raggi delle sue poesie così come quelli della luna ci arrivano tutti, illuminando ora l’abbandono, ora la tensione dell’anima.

L’esistenza di Beatrice Capizzano Verri, nata nel 1904 e morta nel 2007, è stata come un giardino di rose, a partire da quelle che sbocciarono nel giardino della sua casa, a San Lorenzo del Vallo, quelle del 1953 che fiorirono d’inverno, a finire con quella dell’addio alla poesia, nel 1960: se mi offri quella fresca rosa / guarda che non manchi la spina.

Un percorso di poesia cominciato a vent’anni con Cetra giovane, nel 1924, proseguito nel 1926 con Echi e Ore vissute, nel 1933 con Giardino in ombra, nel 1938 con Costruttori, nel 1953 con D’inverno qualche rosa e, infine, Prima che tramonti la luna. Nel 1960 ha cinquantasei anni e ne vivrà ancora tanti. Ho scritto questa lettera su acque amare / mio caro bene, mio dolce amore! / avrò finito di tessere e di filare / prima che tramonti la luna. Tramontata la luna, in effetti, Bice Capizzano Verri, dal 1960 - anno in cui aleggia, nei suoi versi, il senso della morte - non scrisse più e ne ignoriamo il motivo - ho chiesto anche ai discendenti della poetessa, ma invano. Forse perché scrive l’opera compiuta della maturità, un equilibrio armonico di metrica e sentimento? Ma di chi è allora quel caro volto che ritorna nelle rose rosse della sera? E la luce che si spegne a poco a poco; / il fiore che si sfoglia a foglia a foglia; la cara rosa d’oro dei bei giorni estivi. E presto dalle fredde dita / a terra un nudo gambo. Rispettiamo la riservatezza della donna.

I raggi lunari si posano sui giorni che fluiscono, che sono fluiti nell’impeto e nella dolcezza della vita. L’anima è maturata, ha tracciato la sua impronta naturale. La poetessa ha colto la simbiosi tra natura e umanità, un legame divino, un senso panico dell’esistenza che Beatrice instaura, sente, vive e fa vivere ai suoi lettori. Piano, camminate piano / miei pensieri, sull’erba. Lei, che sentiva la voce delle poetesse… forse è una follia : a volte penso che nell’uccelletto grigio / vibrasse, come lunga foglia al vento, l’anima di Emily Dickinson.

Una poetica ispirata soprattutto dai luoghi, una sorta di geografia calabrese del cuore. Nel suo letto velato d’amaranto / scende ai suoi sonni estatici la sera / Tarsia ci guarda dalla sua spalliera / di fichi d’India e bruni olmi, frattanto / la cannaiola lungo la riviera / sorge, e spiega alle prime ombre il suo canto. / Ecco, e il fantasma della primavera / ti viene innanzi in veste d’amaranto. Una poesia ispirata dalle stagioni dell’esistenza. Diletta valle, soave al mio cuore / ancora una volta i miei occhi / hanno visto impallidire / ai tuoi piedi l’amoroso autunno. Memoria, speranza, attesa. Infanzia, bianco poema / mi ridarai le ali / all’ora della morte. / Cammino per ritrovarti / dove ti nascondi, / dove ti ho perduta / dolce sera, attesa, / sospirata sera / che mi suggellerai il cuore. Ce lo confessa, Beatrice, fra le righe… sono rimasta prigioniera di paesi / e di uomini. Eccomi, schiava di stagioni / e di lettere. Le sfugge un altro lamento, ma delicato come tutto il suo essere. Vorrei lasciare la mia valle calda / e andare verso un paese che non so.

Beatrice sogna. Coi molli fiori del pesco / sbocceranno nel cielo dell’alba / i puri, non sognati miei sogni / dall’umida terra del cuore. Questi sogni non sognati di Beatrice, possiamo sognarli noi. Adesso. Sono una pellegrina! / Apritemi le porte del sonno. / se c’è un sogno che non conosco / servitemelo su un desco d’oro.

Che c’è di meglio del desco d’oro della memoria?

Con un tonfo lieve / cadono i frutti del pino / là nella Sila azzurra. / Con un tonfo lieve / cadono i giorni, i giorni / della siepe del cuore. Forse cadrà domani / l’ultimo sogno? Ascolta ! / Questo tonfo lieve… Ascoltiamo. In queste rimembranze Beatrice afferra la realtà del proprio vissuto e ce la dona. La ringraziamo. Il mio canto è sospeso a una foglia di rosa. Rispettiamo la tua scelta, Beatrice, ma se ti chiedi: È sbocciata veramente quella rosa sulla terra, / il cui seme fu portato da uccelli possenti e malinconici? non possiamo che rispondere di sì.

Sei stata tu. Sei tu, la rosa.