La donna della quale voglio raccontarvi, nonostante sia vissuta nel Settecento ha raggiunto livelli di cultura e di indipendenza impensabili per la società catanzarese di quel tempo. L’istruzione ricevuta in casa, grazie alla madre, con illustri maestri, la resero l’unica donna nel panorama culturale maschile capace di stupire in virtù delle sue doti oratorie chi l’ascoltava. E proprio a lei, a cui, in quanto donna, era precluso frequentare il Liceo, è stato intitolato col suo nome l’istituto d’istruzione superiore: Giovanna De Nobili.

Poetessa fin dalla tenera età, grazie a un costante intreccio di relazioni epistolari riuscì ad accedere al dibattito culturale che le veniva personalmente precluso – soprattutto dall’impossibilità di raggiungere Napoli. Le spese di ristrutturazione della casa la limitarono così come i reumatismi di cui soffriva e che le tolsero la speranza di realizzare il viaggio agognato per anni fin quando vi rinunciò definitivamente.
Del resto, una donna sola, per scelta, come lei, come avrebbe potuto viaggiare tranquilla? A proposito, riuscite a immaginare, nella Catanzaro del tempo, una nobildonna che gira senza servitù, per le strade della città? e, per giunta, poetessa! Di certo non ha tutte le rotelle a posto, sarà una matta.

E comunque se non è una matta è una ribelle, una disubbidiente alle regole sociali. Se ne sta in casa sua a leggere, scrivere o ricevere amici. Infatti, morto il barone suo padre, a quarant’anni Giovanna lasciò la casa paterna per andare ad abitare da sola in una casa che divenne un cenacolo culturale. Finalmente libera nei suoi movimenti, votata allo studio, alla poesia.

Non potendo viaggiare per il mondo, Giovanna, il mondo, se lo porta a casa sua. Non frequenta la buona società, che scandalo! Solo intellettuali, letterati, poeti, con i quali confrontarsi. Ha, soprattutto, amici maschi! E i destinatari delle sue lettere sono perlopiù amici che la considerano una mente eccelsa. Entrò a far parte di molte Accademie che proliferavano in quel periodo; per l’Accademia Romana dell’Arcadia assunse il nome di Arminda Lesbiense, che divenne anche il suo pseudonimo per alcune opere. Della ricca produzione letteraria, fra poesie, novelle e articoli resta ben poco. Amicizia, amore e patria furono la base della sua poetica.

Giovanna è uno spirito attivo, abbraccia la causa repubblicana che ha respirato in famiglia fin da piccola, coltiva amicizie che celebra con sonetti e odi, e oltre alla patria celebra l’amore. Perché non si sposò? Ripiego per delusione o scelta consapevole? Non lo sapremo mai, ma di certo l’amore e la seduzione occuparono un posto notevole nei suoi scritti.

Nel mio prato vi è una rosa / La vagheggia un bianco ciglio / un’auretta voluttuosa / tra le fronde fa bisbiglio … Ed è lei stessa a far intendere nella sua corrispondenza di avere avuto alcuni amanti. I suoi discendenti le riservarono ben pochi onori, neanche una lapide in memoria: una donna libera è scomoda in vita e dopo.

Con la sua città ebbe un rapporto di odio e amore; si lamentava che vi fosse poca cultura, ma poi si adoperò perché non perdesse il titolo di capitale di provincia del regno.

Il deputato Marincola così la ricorda: "La chiamavano la Poetessa, ed era Poetessa, perché disdegnosa di muliebri costumanze, di nulla più che libri e di lettere si piaceva, scrivea bei versi pieni di belle immagini e di brio.
Giovanna De Nobili considerava la poesia una febbre che si manifesta da sola quando si trova nel sangue di un individuo e cerca di venirne fuori. La man mi presta, mi trasporta altrove. Lei, di certo, ne fu malata gravemente e continuò, per fortuna, fino alla fine a non guarirne. Nella “solitudine” della poesia. Romita sola tra gli astanti io vivo!”