Nel Crotonese

Il vulcanico artista calabrese Cundari travolge e incanta il Premio Caccuri

Nella suggestiva vallata del marchesato di Crotone, il poeta e performer plurilingue protagonista della kermesse. Non è mancato l’elogio della ciotìa, energia interna che percorre ogni uomo

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di Franco Laratta
10 agosto 2022
21:00

Il trionfo di Daniel Cundari al Premio Letterario Caccuri. È stato tra i protagonisti della kermesse, nell'ambito di un evento andato in scena sul terrazzo del Castello di Caccuri, ai piedi dell’antica torre, davanti all’incantevole vallata del marchesato di Crotone, con sullo sfondo lo Jonio. C’è ai piedi del Castello un’infinita distesa di ulivi secolari, e poi i resti della Magna Grecia, le tenute dei monaci Basiliani, i magnifici castelli che il tempo ha conservato gelosamente. Daniel è un imponente giovane calabrese, fuori dagli schemi, e oltre ogni catalogazione. È un poeta e performer plurilingue, molto apprezzato all’estero.  Già premio “Lerici Pea” e premio “Genil de Literatura”, si è esibito in vari paesi del mondo, dalla Cina al Messico, dalla Spagna a Cuba, dalla Francia alla Serbia.

Originario di Rogliano, nel Savuto, ha vissuto per molti anni lontano dalla Calabria: da Granada a Shanghai, Bacalar, Barcellona, pur essendo sempre presente in campo sociale e culturale. Ha pubblicato dieci libri, tra cui ricordiamo “Geografía feroz”, “Poesie contro me stesso”, “Nell’incendio e oltre”, “Istruzioni per distruggere il vento”, “Poesie a delinquere” e “Il silenzio dopo l’amore”. Grande conoscitore delle letterature sommerse e delle tecniche di Flamenco, precursore e inventore del “repentismo cutise” che ha riorientato il dialetto in chiave universalizzante, si è espresso sul palco e in vari festivals con artisti come Gianna Nannini, Jeremie Corault, Peppe Voltarelli, Alfio Antico, Juan de Loxa, Edoardo Tresoldi.


Al Premio Caccuri ha catturato, anzi incantato, un folto pubblico con il suo "repentismo cutise" che sarebbe un ambiente immaginativo/espressivo, basato sul canto d'improvviso, utilizzando il dialetto in funzione di lingua universale della parola e del corpo. E lui ha dominato la scena con la sua voce, lo sguardo, facendo parlare il corpo, recitando in un dialetto che cattura, con le sue espressioni musicali affascinanti. “Se Dario Fo fosse calabrese sarebbe Daniel Cundari”, ha scritto Luca Telese; mentre Cesare Berlingeri ha detto di lui: “Amo in te la Follia delle Parole”, e Manuel Cohen: ‘Cundari è abitato da qualche spirito recondito”, e ancora: “È giovanissimo ma la sua poesia è già antica” (Mario Specchio).

Tanti grandi nomi della cultura e della critica hanno avuto modo di spendere parole importanti per questo straordinario artista calabrese. La critica letteraria internazionale ha sostenuto come la sua parola – calabra o spagnola - lo leghi alla geniale ribellione del poeta precoce per eccellenza, Arthur Rimbaud, e al misticismo dell’alchimia verbale di un Campana, di un Fo o di un Bene. Tanto che il polacco Wojciech Szymanski non ha avuto alcun dubbio: “Ho sentito le sue parole come pietre su di me. Non era una semplice lettura. Daniel Cundari mi ha lapidato”. L’arte di Daniel si misura su alcune avvincenti linee guida: solitudine, ciotìa, ex-tasis. La "ciotìa" è una voce antica e profonda: energia interna che percorre ogni uomo, non si libera fino alle sue estreme conseguenze. Di difficile interpretazione, Cundari la gestisce con pochi movimenti esteriori e con un “vulcano” intimo, giocando con la delicata eleganza della potenza tellurica. Geniale Cundari.

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