Il riconoscimento

La “restanza” teorizzata da Vito Teti entra nel novero delle “Parole nuove” dell’Accademia della Crusca

La prestigiosa istituzione di linguistica e filologia inserisce il termine tra quelli già esistenti ma che negli ultimi anni hanno assunto un nuovo significato. Un'accezione «utilizzata per la prima volta dall'antropologo calabrese»

di Stefano Mandarano
28 novembre 2023
19:20
L’antropologo Vito Teti
L’antropologo Vito Teti

L'Accademia della Crusca, l'istituzione che raccoglie studiosi ed esperti di linguistica e filologia della lingua italiana, inserisce tra le “Parole nuove” il termine “restanza”. Forma non inedita, utilizzata fin dal Trecento per indicare “ciò che avanza, rimanenza, resto”, che negli ultimi anni però si è arricchita di senso e significato grazie, soprattutto, all’opera dell’antropologo di San Nicola da Crissa Vito Teti, già ordinario di Antropologia culturale all’Università della Calabria, che nel 2022 ha dato alle stampe il saggio omonimo, “La restanza”, edito da Einaudi. Libro giunto alla quinta ristampa.

È la stessa Crusca, nella scheda curata da Raffaella Setti, a riconoscere il contributo dello studioso calabrese definendo il lemma, entrato, già dal gennaio di quest’anno, nel novero delle “Parole nuove”. Vale a dire tra quelle parole che “si diffondono ed entrano negli usi collettivi della lingua per un periodo di tempo significativo”, selezionate dagli accademici della Crusca “sulla base di un monitoraggio sui grandi mezzi di comunicazione di massa e tenendo conto delle segnalazioni dei lettori”. Esse generalmente sono “parole di nuova formazione o prese in prestito da altre lingue, che sono registrate solo da pochi dizionari e/o nelle edizioni più recenti; parole già da tempo circolanti in italiano in testi di vario tipo ma che non sono registrate nei dizionari; parole già esistenti in italiano che in anni recenti hanno subito un forte rilancio nell’uso pubblico (rilanci); parole già esistenti in italiano che in anni recenti hanno assunto un nuovo significato (neologismi semantici)”.


Proprio quest’ultima descrizione ben si adatta a “restanza”, che la Crusca definisce così: “Atteggiamento di chi, nonostante le difficoltà e sulla spinta del desiderio, resta nella propria terra d’origine, con intenti propositivi e iniziative di rinnovamento”.

La parola “restanza”, prosegue la scheda, “derivata dal participio presente ‘restante’ con aggiunta del suffisso -(z)a - forma non nuova per l’italiano in cui è attestata fin dal Trecento nel significato di ‘ciò che avanza, rimanenza, resto’ (cfr. Gdli, s.v.) - presenta un recupero novecentesco nel termine corrispondente francese ‘restance’ (sulla base di résistence) impiegato dal filosofo Jacques Derrida nel significato di ‘resistenza psicoanalitica’ (in Résistances de la psychanalyse, 1999) ed è riemersa in italiano da qualche anno in una nuova accezione per riferirsi all’‘atteggiamento di chi, nonostante le difficoltà e sulla spinta del desiderio, resta nella propria terra d’origine, con intenti propositivi e iniziative di rinnovamento’, un insieme di resistenza e resilienza di tenacia e flessibilità nell’affrontare le difficoltà. In questa nuova accezione è stata utilizzata per la prima volta dall’antropologo calabrese Vito Teti nel suo libro ‘Pietre di pane. Un’antropologia del restare’ (Quodlibet, 2011): qui il concetto di restanza è correlato a quello di erranza e l’avventura del viaggiare è intesa come complementare a quella del restare”.

Questa la definizione che ne dà lo stesso Teti in “Pietre di pane”: “L’essere rimasto, né atto di debolezza né atto di coraggio, è un dato di fatto, una condizione. Può diventare un modello di essere, una vocazione, se vissuto senza sudditanza, senza soggezione ma anche senza boria, senza compiacimento, senza angustie e chiusure, con un’attitudine all’inquietudine e all’interrogazione. Restare significa vivere l’esperienza dolorosa e autentica dell’essere sempre “fuori luogo”. Esiste lo sradicamento totale anche di colui che resta fermo”.

Per Raffaella Setti siamo di fronte ad “un nuovo concetto che si è materializzato nella ridefinizione della parola ‘restanza’, ma soprattutto in nuovi progetti concreti vòlti ad arginare lo spopolamento di alcune aree del nostro Paese e a rilanciare economie sostenibili e possibilità di futuro. La tendenza a reagire positivamente a emergenze ambientali, sociali e climatiche sembra promettere la diffusione sempre più ampia di tali esperienze e ciò non può che favorire la circolazione della parola e il suo potenziale radicamento nel lessico comune”.

Giornalista
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