Alla Cappella dei Nobili sabato 24 maggio focus sul morbo di Alzheimer e invecchiamento partendo dal volume del neurologo dell'Istituto Montecatone di Imola. Un racconto che intreccia scienza ed emozione. Nel frattempo un’anteprima per il nostro network
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Viviamo più a lungo. E mentre la società invecchia si registra un forte aumento delle persone affette da demenza. Di questo e molto altro se ne parlerà sabato 24 maggio ore 17:30 alla Cappella dei Nobili a Tropea, per iniziativa del Rotary, con il prof Giuseppe Bonavina, autore del libro “Le parole non dette. Un racconto sulla demenza”. Bonavina è neurologo presso l’Istituto di Riabilitazione di Montecatone, a Imola (Bologna).
Con il prof. Bonavina cerchiamo di capire perché nasce “Le parole non dette. Un racconto sulla demenza”.
«Il libro è un racconto molto intimo che nasce da una vicenda personale, il progressivo decadimento cognitivo della mia amatissima mamma, forse una personale elaborazione di un lutto, ma con lo sguardo, il pensiero e l’animo di medico e figlio».
A chi è destinato il libro?
«E’ un libro che vuole essere dedicato a tutti, in particolare ai familiari e ai caregiver delle persone affette, che giorno dopo giorno e in silenzio affrontano le difficili sfide dell’invecchiamento cerebrale e accompagnano le persone anziane sole con amore, empatia e speranza».
Una ragazza in un commento sui social dice: ‘Questo libro ha avuto su di me un impatto molto forte. Probabilmente perché anch'io come la protagonista sono un'adolescente. Quando ho iniziato a leggerlo non credevo fosse così "potente".
«Ringrazio il commento della ragazza che ha citato: spero che il libro possa esortare a riflettere su questioni semplici e complesse legate alla demenza che rimane per chi ne soffre e per chi è accanto al malato un’esperienza difficile a cui si può far fronte con amore e dedizione»
Qualcuno ha scritto che questo libro è una denuncia verso tutti coloro che fingono di non vedere e un urlo di aiuto per chi crede di non aver più voce. È davvero così?
«No, non direi proprio che è una “denuncia”, non voglio che passi questo messaggio. Come ho sottolineato nel prologo del libro vorrei che non passi questo messaggio di “guerra contro l’Alzheimer” di “battaglia personale contro un nemico”, come la scienza e la società hanno finora affrontato la malattia.
La malattia di Alzheimer negli anni ottanta del secolo scorso è stata investita da un fiorire di cupe metafore, una perdita del se’, una “non persona” avvolta da un forte stigma, che ha ispirato sentimenti di paura, di minaccia e di terrore, alimentato anche da un discorso biomedico improprio non solo a mio avviso ma anche secondo molti neurologi a livello mondiale».
Forse sarebbe meglio affrontare il tema parlando delle “persone”coinvolte.
«Esattamente. Cosa succede a queste persone nelle quali a volte viene meno la consapevolezza di sé, quali sono i loro diritti, come possiamo garantire loro benessere e una buona qualità di vita? Bisognerebbe affrontare tale tematica parlando del ruolo delle comunità, di diritti e di doveri in una società consapevole e che abbia conoscenza».
Ed ecco la grande importanza delle parole.
«Nel libro ho cercato di far riflettere sull’enorme potere delle “parole”, sulle emozioni, sulla spiritualità, su diritti e dignità delle persone ma anche sullo stigma, sulla reticenza e sulla vergogna che spesso emerge. I “legami” sono la base di ogni cura per l’anziano».
Lei ha inteso affrontare anche il tema della solitudine.
«Ho più volte sottolineato nella mia esperienza da neurologo che le persone affette da demenza sono persone fragili che però, nonostante la malattia, mantengono una ricca affettività e quindi laddove non riusciamo ad avvicinarli in altri modi, possono essere quasi sempre raggiungibili attraverso i canali emozionali, musica, arte ed altro.
Non arrendiamoci pertanto alla distanza che le demenze creano fra chi ne è affetto ed il mondo circostante, cerchiamo di riconoscerne i segni iniziali, a mantenere aperti i canali di comunicazione percorribili, a rispettare fin dove possibile le scelte e comunque sempre la sofferenza e la dignità della persona malata».
Infine ha concluso il libro sottolineando un punto fondamentale.
«Prendiamoci sempre cura del malato e dei nostri cari, poiché anche nella demenza “non si è mai davvero senza mente”.
E tutti avrebbero diritto di guarire, se si può, ma soprattutto tutti e sempre hanno il diritto di essere curati al meglio».