A Melissa una ricca e suggestiva vendemmia tra vitigni autoctoni e varietà internazionali
Tra i filari di colline generose accompagnato da Mario Bruni, erede di una famiglia di vitivinicoltori che produce vino da oltre un secolo
Durante la vendemmia attraversare in automobile la strada che dalla Statale jonica 106, costeggiando il torrente Lipuda, conduce alle campagne e alle colline di Melissa, genera sensazioni particolari e suggestive. Atmosfere di un tempo, tra colline arse dal sole, campi tinti di giallo ocra dove la mietitrebbia ha da poco raccolto le messi e la fienagione ha dato vita ad enormi balle, filari di vite carichi di grappoli maturi pronti per la raccolta. Melissa, tra racconti mitici ed evidenze storiografiche, ha tanto da raccontare. Del resto è immersa nel cuore di un’area, quella che si sviluppa tra il Cirotano, l’Alto Crotonese e il Marchesato, che vanta tradizioni agroalimentari da millenni: dagli Enotri alla Magna Grecia, dai Bruzi all’Età Romana per passare poi a tutti i secoli del Medioevo e del Rinascimento, per giungere fino alla più recente economia del latifondo e dell’agricoltura estensiva. Il latifondo ha origini antichissime che risalgono alla conquista romana, ma si espresse in tutta la sua dimensione economica e sociale fino a pochi decenni fa, significando anche sfruttamento di masse di contadini incolti e troppo spesso ridotti in condizioni di miseria. Proprio Melissa, con le vicende dell’ottobre 1949, richiama il periodo delle cosiddette Lotte contadine con la conseguente occupazione delle terre sfociata in vicende drammatiche e sanguinose.
Il paesaggio di Melissa è affascinante e lo abbiamo visitato in compagnia di Mario Bruni, giovane vitivinicoltore che gestisce un consistente quantitativo di ettari di vigneto. La tradizione vitivinicola melissese è tanto radicata che l’Ue ha riconosciuto un’apposita Doc, distinta da quella del Cirò sebbene esistano molte assonanze soprattutto in tema di vitigni autoctoni contemplati dai rispettivi disciplinari. Mario Bruni è l’erede di una famiglia che coltiva uve e produce vini da oltre un secolo. Fu proprio un suo avo, l’omonimo Mario, così come è attestato dallo stesso disciplinare Doc, che nel 1934 decise di far partecipare una bottiglia di Melissa, appositamente etichettata, alla terza Mostra nazionale dell’agricoltura di Firenze dove conquistò il primo diploma ufficiale di qualificazione con medaglia d’oro.
Giunti in cantina Mario ci ha fatto conoscere i suoi più diretti collaboratori, tutti intenti a vendemmiare e a sistemare i grappoli per la vinificazione. Inutile nascondere che le chiacchiere sono state accompagnate da più di un brindisi con vini delle Cantine Bruni, fettine superlative di soppressata e di capocollo prodotti in ambito casalingo. Poesia allo stato puro!
Mario Bruni crede molto nei vitigni autoctoni (il mitico Gaglioppo, Pecorello, Greco Bianco) che impiega per produrre oltre che le etichette Doc anche bottiglie molto apprezzate quali il Marigiù, Pecorello in purezza. Ma una grande sfida di Mario Bruni è quella di far esprimere nel contesto melissese e calabrese alcuni dei più famosi vitigni internazionali (Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah per i rossi; Chardonnay per i bianchi). I vitigni internazionali sono varietà di uve molto duttili affermate in tutti i continenti, ma in ogni specifico luogo, come appunto le colline di Melissa o altre zone della Calabria, risentendo di particolari condizioni pedoclimatiche si esprimono in maniera diversa e specifica, non assimilabile ad altre “letture”. Il Cabernet Sauvignon, ad esempio, assieme al Cabernet Franc e al Merlot costruisce il tradizionale e famoso taglio bordolese (i celeberrimi vini “châteaux” di Bordeaux). Il Syrah, anch’esso a bacca nera, coltivato dalla California alla Francia, dalla Spagna all’Australia, è molto usato anche in Sicilia o in Toscana. L’universale Chardonnay a bacca bianca, invece, anch’esso a dimensione globale e caratterizzante la cultura enologica della Borgogna e della regione dello Champagne che hanno riempito di contenuti il concetto di “terroir”, rappresenta il cuore di molti uvaggi destinati ai migliori bianchi e alle più nobili bollicine, comprese quelle del metodo classico.
È facile intuire che un Cabernet Sauvignon o uno Chardonnay coltivati alle latitudini della Gironda o della Borgogna non potrà mai essere identico, nonostante il medesimo o simile patrimonio genetico, a cloni allevati nella caldissima e soleggiata Melissa. Molti sanno che, ad esempio, il Bolgheri Sassicaia, specifica Doc della provincia di Livorno, in Toscana, uno dei vini italiani più conosciuti al mondo, è prodotto prevalentemente a base di Cabernet Sauvignon.
Come non comprendere, pertanto, l’idea di Mario Bruni di parlare sia il linguaggio degli autoctoni, figli di tradizioni che si contano in millenni, sia quello dei vitigni internazionali. Ecco quindi che il suo San Giù è prodotto a base di Gaglioppo, Cabernet Sauvignon e Syrah; il Francesco II (che ricorda gli amati padre e figlio) nasce dal matrimonio fra Merlot e Cabernet Sauvignon; il Survia da Cabernet Sauvignon e Syrah con grappoli soggetti ad appassimento naturale.
Molti acquirenti, nazionali ed esteri, delle pregiate etichette di Cantine Bruni raggiungono Mario nei suoi vigneti proprio nei mesi estivi e della vendemmia per ammirare filari di uve che rappresentano un fiore all’occhiello della vitivinicoltura calabrese. L’annata 2024, ci ha detto Mario Bruni, è destinata a riservare sorprese positive considerate l’elevata qualità dei grappoli raccolti. Ne riparleremo!