Il lavoro che non c’è

La bolla dei call center è scoppiata, Abramo solo l’ultima goccia: crisi occupazionale che rischia di travolgere la Calabria

Il caso dell'azienda customer care che dal Pollino allo Stretto ha diverse sedi è solo l’ultimo di una serie di pesantissime vertenze che colpiscono il settore delle telecomunicazioni: il mercato si contrae e gli operatori tagliano lasciando a terra intere famiglie

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di Francesco Rende
19 dicembre 2023
16:24

Solo qualche anno fa, la Calabria era considerata l’Eldorado dei call center. Quella dell’assistenza telefonica e dei servizi in vendita era una vera e propria manna dal cielo per un territorio da sempre alle prese con un’atavica fame di lavoro, in una situazione ideale che metteva d’accordo tutti. Da un lato, le grandi aziende che potevano contare su costo del lavoro estremamente competitivo e su un ricambio lavorativo praticamente illimitato; dall’altro erano tantissimi i giovani che per potersi pagare gli studi o anche solo per alzare un gruzzoletto che garantisse una minima indipendenza inforcavano le cuffie e sfoggiavano il loro miglior italiano per poter rispondere ai clienti.

Sono passati quasi venti anni dai primi insediamenti, nei corridoi e sulle scrivanie dei call center sono nati amori e famiglie (che molto spesso dipendono quindi da una sola fonte di reddito) ma adesso quella bolla sta letteralmente esplodendo lasciando a terra tantissime persone: «È una conseguenza di quanto sta succedendo sul mercato – spiega Alberto Ligato, segretario generale della Slc Cgil – perché se ci facciamo caso quello della telefonia è l’unico comparto in cui nonostante l'inflazione i prezzi al cliente non aumentano ma diminuiscono. Basti pensare alle offerte telefoniche, adesso con pochi euro si ha tutto praticamente illimitato e in pochi click: vuol dire che le aziende hanno meno introiti ma gli stessi costi. Dove si taglia, poi, quindi? Sui lavoratori, che vengono lasciati a casa dalla mattina alla sera. Pensate al caso Abramo, 500 persone che in venti giorni dovrebbero essere ricollocate in una regione come la Calabria, ma come si fa?»


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Sono tante, infatti, le vertenze ancora aperte in un settore che da opportunità si è trasformato in trappola per tantissimi che in quegli uffici hanno trovato una stabilità economica, un impiego che ritenevano sicuro e che adesso viene spazzato via dalle leggi di mercato: delocalizzazioni in Albania e in Africa del nord, investimenti sull’intelligenza artificiale e sulle app popolate da bot che facilitano la vita dell’utente ma inesorabilmente tagliano il numero di telefonate e di conseguenza il volume di lavoro dei call center. Così le crisi aziendali si susseguono senza sosta e le vertenze si mobilitano.

Abramo CC, lavoratori del call center in sciopero e caso al ministero

L’ultimo ed eclatante caso è quello di Abramo Customer Care: l’azienda, già adesso in amministrazione controllata, riceve da Tim la comunicazione che verrà dimezzata la mole contrattuale. Si tratta di 493 persone prevalentemente sugli insediamenti di Montalto e Settingiano (incluse poche unità su Crotone) che dal primo gennaio si troveranno in cassa integrazione a zero ore: è quasi il 50% dell’intera forza lavoro dell’azienda, che adesso si trova in un limbo dal quale sarà difficilissimo uscire. Non si tratta di un cambio di azienda, quindi non è possibile usufruire della clausola sociale e ricollocare i lavoratori: per questo già da oggi i lavoratori hanno proclamato lo sciopero e il caso è approdato immediatamente al ministero, dove era già previsto un incontro per la vertenza Almaviva.

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Almaviva, da Alitalia all’assistenza Covid gli operatori sono sempre in bilico

Proprio quella di Almaviva Contact era stata una vicenda pesante per il comparto call center calabrese: le prime difficoltà sono emerse con la dismissione di Alitalia e la sorte segnata per 550 lavoratori. Alcuni sono stati internalizzati con Ita, molti ancora sono passati a Covisian con la clausola sociale mentre molti sono stati assorbiti nel progetto sul numero di informazioni sulle vaccinazioni Covid: restano ancora tanti operatori, 23 nella sola Rende, per i quali si chiederà un accordo per ulteriori mesi di cassa integrazione.

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Call center, la fine del mercato tutelato e il governo che smentisce sé stesso lasciando a casa 1500 lavoratori

Un caso a parte è quello relativo agli operatori telefonici del Servizio Elettrico Nazionale, il cosiddetto mercato tutelato per il quale è stato confermato lo spegnimento. Gli utenti che non passeranno in tempo utile alle altre compagnie andranno all’asta, suddivisi in lotti: non ci saranno solo bollette e utenti, però, ma anche tantissimi lavoratori dei call center che non avranno più chiamate di assistenza alle quali rispondere. Un decreto del Governo dello scorso giugno, il 36/ter, imponeva alle aziende aggiudicatarie dei lotti di acquisire anche un numero prestabilito di operatori, ma nei primi giorni di dicembre il governo ha smentito se stesso cancellato questo emendamento. Il risultato è che, se gli utenti saranno tutelati, i posti di lavoro verranno cancellati con un colpo di spugna: si tratta di 1500 persone in tutta Italia, di cui 100 nella sola Catanzaro, per i quali andrà trovata una soluzione.

Tech&Com, futuro ancora in bilico per 13 operatori

Un’altra vertenza aperta è quella che riguarda la Tech&Com, azienda che lavorava principalmente con commesse nel settore dell’energia del mercato libero: circa 60 lavoratori che hanno perso il posto di lavoro a causa di una crisi aziendale e del mancato mantenimento delle commesse più importanti. Non tutti i lavoratori del sito produttivo di Rende, però, sono riusciti a trovare una collocazione: la maggior parte degli operatori, 45, è stata acquisita tramite clausola sociale dalla System House, mentre resta ancora indecifrabile il destino dei 13 lavoratori provenienti dalla commessa Iren. In questi giorni sono in corso le vertenze sindacali e le discussioni tra le parti, ma non è affatto detto al momento che si riesca a trovare una soluzione.

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