Le imprese vulnerabili all'export in Italia sono poco più di 23mila, di cui quasi 3.300 alla domanda Usa (dati 2022). Di queste, valutando liquidità, redditività e struttura patrimoniale, è considerato a rischio il 10,8% e fortemente a rischio il 9,2%, per un totale di un'impresa vulnerabile su 5, cioè 4.600. A metterlo nero su bianco è l'Istat in un focus sulla vulnerabilità alla domanda estera e la solidità economico-finanziaria delle imprese esportatrici italiane. Secondo l'istituto nazionale di statistica le imprese esportatrici italiane più vulnerabili si caratterizzano anche per maggiori problemi di redditività, e quindi per una più elevata precarietà nel grado di solidità economico-finanziaria. Rispetto a possibili shock come i dazi, dunque, la combinazione di una vulnerabilità all'export e di una fragilità nelle condizioni di redditività potrebbe pertanto rappresentare un ulteriore fattore specifico di criticità.

Dazi Usa e conflitti in corso, scenario incerto

L’Istat – nella sua nota di aggiornamento relativa al periodo marzo-aprile 2025 – parla di «economia mondiale in rallentamento» per quest’anno e di «prospettive di crescita al ribasso».
«Lo scenario internazionale continua a essere caratterizzato da un rallentamento dell’attività economica e da un’elevata e persistente incertezza – rileva l’istituto nazionale di statistica – alimentata dagli annunci sulle misure di politica commerciale da parte della nuova amministrazione statunitense».
Questo scenario globale, prosegue l’Istat, «ha cominciato a penalizzare le decisioni di consumatori e imprese. Gli annunci ufficiali sulle misure di politica commerciale da parte della nuova amministrazione americana, nelle ultime settimane, sono stati oggetto di frequenti modifiche. Al momento, è estremamente difficile prevedere gli esiti finali delle negoziazioni sui dazi tra gli Stati Uniti e gli altri principali Paesi. Permangono forti tensioni geopolitiche tra Russia e Ucraina e in Medio Oriente».

Le stime sul Pil, Italia +0,3%

In tale contesto, le più recenti previsioni del Fondo Monetario Internazionale (FMI) stimano una decelerazione del Pil mondiale quest’anno (da +3,3% del 2024 a +2,8% del 2025), con una moderata ripresa nel 2026 (+3,0%). Nel primo trimestre «a fronte di una buona tenuta dell’economia in Cina e nell’area euro, il Pil degli Stati Uniti ha segnato una lieve variazione negativa, principalmente dovuta a un forte aumento delle importazioni». Secondo la stima preliminare nei primi tre mesi dell’anno «il Pil italiano è cresciuto dello 0,3%, risultato migliore di Francia e Germania, ma inferiore alla Spagna».

Usa, deficit commerciale

«Il deficit commerciale Usa ha toccato un nuovo minimo a marzo di -161 miliardi di dollari (-148 miliardi a febbraio) – spiega l’Istat – l’attesa per l’annunciato inasprimento dei dazi a partire da aprile ha infatti spinto le imprese americane ad anticipare gli acquisti dall’estero». A febbraio il commercio internazionale di merci in volume è rimasto invariato rispetto al mese precedente, dopo la crescita dello 0,7% a gennaio. Mentre sul fronte delle importazioni, gli Stati Uniti hanno mostrato una lieve diminuzione congiunturale dell’import di merci in volume (-0,4%) dopo il forte aumento del mese precedente (+12,2%). Per quel che riguarda le esportazioni, a febbraio si riscontra soprattutto un incremento per il Giappone (+7,4%), che ha più che compensato il calo del 3,1% di inizio anno.

Fiducia imprese in calo

«Il clima di fiducia delle imprese ha mostrato la terza flessione consecutiva ad aprile, coinvolgendo tutti e quattro i principali settori economici – rileva ancora l’Istat – in diminuzione, nello stesso mese, anche la fiducia dei consumatori, con un peggioramento particolarmente marcato delle opinioni sulla situazione economica dell’Italia».

Occupazione:+9% su base congiunturale

Nonostante un lieve calo a marzo, l’occupazione, nel primo trimestre, è aumentata dello 0,9% su base congiunturale. Tale andamento positivo ha riguardato uomini e donne, i dipendenti permanenti e gli autonomi, i giovani di 15-24 anni e chi ha almeno 50 anni d’età.
Mentre l’inflazione armonizzata dei prezzi al consumo (IPCA) in tutti i maggiori paesi europei è rimasta sostanzialmente invariata in aprile rispetto a marzo, risultando pari al 2,1% in Italia e al 2,2% nella media dell’area euro.