Nell’Italia che prova a blindare le proprie scorte di gas, gli ultimi tragici eventi della guerra in Medio Oriente rischiano di far saltare ogni piano di sicurezza energetica. Dopo l’attacco aereo sferrato da Israele contro impianti nucleari iraniani nella notte tra giovedì e venerdì, la risposta di Teheran non si è fatta attendere: oltre cento missili sono piovuti su Tel Aviv e Gerusalemme nelle ore successive. Un’escalation che ha immediatamente scatenato il panico sui mercati globali, facendo crollare le Borse e impennare i prezzi dell’energia.

L’Italia, seppur con riserve di gas attualmente al 90% della capacità, resta tra i Paesi europei più esposti a una crisi energetica. Il nostro Paese importa oltre il 90% del gas e il 95% del petrolio consumati. Negli ultimi anni Roma ha aumentato l’importazione di GNL dagli Stati Uniti e dal Qatar, rafforzando anche il gasdotto TAP. Ma le tensioni geopolitiche rischiano di vanificare questi sforzi.

A preoccupare gli analisti e gli investitori è la situazione nello Stretto di Hormuz, snodo cruciale da cui transita il 30% del petrolio mondiale e il 25% del gas naturale liquefatto. Un eventuale blocco avrebbe ripercussioni drammatiche sulla sicurezza energetica globale e, di riflesso, sull’economia italiana.

Intanto, la reazione dei mercati è stata immediata. Le Borse asiatiche hanno aperto in rosso: Tokyo ha perso lo 0,89%, Shanghai lo 0,75% e Hong Kong lo 0,59%. Ma è stata l’Europa a subire i contraccolpi maggiori: Milano ha chiuso la giornata di venerdì 13 giugno a -1,28%, seguita da Madrid (-1,23%) e da Parigi e Francoforte, entrambe con perdite superiori all’1%. Complessivamente, sono stati bruciati circa 185 miliardi di euro di capitalizzazione in poche ore. Anche oltreoceano, Wall Street ha risentito del clima d’incertezza: il Dow Jones ha perso oltre l’1%, il Nasdaq lo 0,53%. Sui mercati delle materie prime, il petrolio Brent è salito del 6,89%, mentre il WTI ha guadagnato il 6,8%, riportando i prezzi ai livelli di marzo 2024. In forte rialzo anche il gas naturale europeo, schizzato a 37,89 euro al megawattora (+4,75%). Secondo le stime di JP Morgan, se lo Stretto di Hormuz dovesse davvero essere chiuso, il prezzo del greggio potrebbe schizzare fino a 120 dollari al barile. Uno scenario che impatterebbe anche su Cina e India, grandi acquirenti di petrolio iraniano, con effetti a catena su inflazione, produzione industriale e costi di esportazione in tutto il mondo.

L’Italia, in questo contesto, si trova in una posizione di vulnerabilità. Le riserve attuali offrono un cuscinetto solo temporaneo. E mentre si discute di transizione energetica, la realtà dei fatti impone ancora una forte dipendenza da forniture estere, esposte agli umori della geopolitica internazionale.