Ieri, venerdì 13 giugno, i prezzi del petrolio sono schizzati in alto dopo che Israele ha colpito obiettivi in Iran: il Brent è salito di oltre 4 dollari, +5,8%, arrivando a 73,38 dollari al barile, mentre il greggio USA (WTI) è balzato a 72,39 dollari, con un rialzo del 6,39%. Un balzo così netto in poche ore è il segnale chiaro che i mercati stanno prezzando un’escalation pericolosa nel cuore del Medio Oriente. Ma il rischio è ancora più grave: il petrolio a quota 90 dollari al barile.

Anche se al momento le forniture non sono state interrotte, basta la minaccia per fare impennare i costi. Il rischio concreto è che i prezzi dell’energia tornino a crescere con forza, trascinando verso l’alto bollette, benzina, trasporti, generi alimentari e prodotti industriali. Le famiglie europee e americane, già colpite da anni di rincari, potrebbero presto vedere un ritorno dell’inflazione.

Il vero nodo strategico è lo Stretto di Hormuz, passaggio obbligato per circa un terzo del petrolio trasportato via mare nel mondo. Se la guerra dovesse bloccare anche solo in parte questo canale, lo scenario cambierebbe radicalmente. Gli analisti stimano che il prezzo del petrolio potrebbe salire rapidamente fino a 120 dollari al barile, con effetti devastanti su tutto il sistema economico globale.

Il gas nel mirino: rischio per l’Europa

Non solo petrolio: anche il gas naturale liquefatto (GNL) sarebbe colpito. Il Qatar, terzo esportatore mondiale, fa transitare il 100% del suo GNL proprio attraverso lo Stretto di Hormuz. Se il flusso venisse interrotto, i prezzi del gas esploderebbero. L’Europa, che aveva appena iniziato a respirare dopo la crisi energetica del 2022, si ritroverebbe nuovamente in competizione diretta con l’Asia per accaparrarsi le forniture.

Negli Stati Uniti la situazione era sembrata sotto controllo, con un’inflazione dei beni stabilizzata e una leggera discesa dei prezzi dei servizi. Ma già il Beige Book della Fed segnala previsioni di rincari più marcati nei prossimi tre mesi. Ora l’aumento dei prezzi del petrolio rischia di far deragliare tutto.

Se l’inflazione riparte, la Federal Reserve non potrà abbassare i tassi, come molti speravano. Questo significa mutui più cari, meno accesso al credito, un debito pubblico americano più costoso e mercati finanziari più nervosi. In Europa, la BCE si troverebbe nella stessa trappola: o difendere il potere d’acquisto o sostenere la crescita. Una scelta impossibile.

La guerra tra Israele e Iran non è un conflitto confinato nel deserto. Tocca le tasche dei cittadini di tutto il mondo, dalle pompe di benzina ai supermercati, dai bilanci familiari ai tassi d’interesse. Se la situazione dovesse peggiorare, l’estate 2025 potrebbe essere segnata da una nuova crisi energetica globale. E questa volta senza facili vie d’uscita.