Un traguardo storico che apre strade importanti: anche la Calabria vitivinicola ha, finalmente, una Docg, il Cirò Classico. Le denominazioni di origine controllata e garantita in Italia sono 77, a fronte di 330 Doc (fonte Valoritalia, tenendo conto che 15 Dop si estendono su più regioni). Fino a ieri solo Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Liguria, Molise e Calabria (5 regioni su 20) non potevano vantare una Docg nel Paese che produce più vino al mondo e che assieme alla Francia detiene il record di export.

Primeggia questa classifica dell’aristocrazia del vino il Piemonte, con 19 Docg, e a seguire il Veneto con 14 e la Toscana con 11. La Calabria con la Docg Cirò Classico raggiunge la Sicilia, la Sardegna, la Basilicata.

Prima di addentrarci nelle caratteristiche e nelle potenzialità della Docg Cirò Classico, facciamo un po’ d’ordine sulle sigle. I marchi Doc e Docg (rispettivamente Denominazione di origine controllata e Denominazione di origine controllata e garantita) erano nati dalla normativa nazionale italiana tra 1963 e 1980: una certificazione di qualità legata al territorio di provenienza e ad uno specifico disciplinare approvato dal competente Ministero. La Francia, alcuni decenni prima, aveva adottato le omologhe Aoc (Appellation d'Origine Contrôlée).

La Docg, rispetto alla Doc, offre ulteriori garanzie al consumatore, in quanto è soggetta a processi produttivi più meticolosi e a maggiori controlli: ad esempio il vino deve superare anche un esame organolettico prima di essere imbottigliato e quindi posto in commercio. Siamo di fronte, insomma, all’eccellenza in senso autentico, e quindi a vini di altissima gamma. Dal 2010 l’Ue ha ricompreso tutti i prodotti agroalimentari IG, vini inclusi, sotto i marchi Dop (Denominazione di origine protetta) e Igp (Denominazione geografica protetta). Pertanto le precedenti Docg e Doc sono state entrambe assorbite, ma continuano a essere utilizzate, dalle Dop (le Igt nell’Igp).

Dal 2010 il riconoscimento di Docg e Doc, prima una prerogativa nazionale, è riservato alla Ue. E così è stato per il rosso classico cirotano che ha passato con successo l’esame europeo. Il Cirò Classico Docg, con tutto il suo portato di storia e di culture identitarie, entra quindi nella famiglia più nobile dei vini italiani, assieme ad esempio al Barolo, al Gattinara, al Barbera d’Asti e al Barbera del Monferrato Superiore, al Barbaresco, al Brunello di Montalcino, al Chianti Superiore, al Chianti Classico, al Morellino di Scansano, all’Amarone della Valpolicella, al Montefalco Sagrantino, alla Vernaccia di San Gimignano, al Cerasuolo di Vittoria (l’unica Docg di Sicilia), al Vermentino di Gallura (unica Docg della Sardegna). L’Olimpo dei vini, ed ora c’è anche la Calabria: ne sarà felice Apollo Aleo!

Veniamo al disciplinare di produzione del Cirò Classico Docg che, innanzi tutto, riguarda solo la tipologia rosso (il bianco da Greco Bianco, così come il rosato, continueranno a essere una Doc che ovviamente non viene cancellata). Cirò Classico significa vitigno autoctono Gaglioppo, da usare almeno al 90%. Il restante 10% può prevedere Magliocco o Greco Nero.

La zona di produzione è riservata ai vigneti coltivati nei comuni di Cirò e Cirò Marina (tecniche di allevamento: alberello o spalliera a cordone speronato). Un’occasione strategica per sviluppare i concetti dell’Alberello Enotrio! Quantità massima di uva prodotta per ettaro: 8 tonnellate. Considerati i cambiamenti climatici, è consentita l’irrigazione di soccorso.

Il Cirò Classico Docg deve avere un titolo alcolometrico volumico naturale minimo del 13%. Nella stessa area di coltivazione delle uve (comuni di Cirò e Cirò Marina) devono essere effettuate tutte le operazioni di vinificazione, di conservazione, di invecchiamento, di imbottigliamento. Resa massima delle uve: 70%. Immissione al consumo solo dopo 36 mesi di invecchiamento, di cui almeno 6 in legno. Il

Disciplinare dedica poi ampio spazio al “terroir” del Cirò Classico (la parte storica, non appena possibile, andrà integrata perché fondamentale), vino la cui storia è antichissima risalendo alle civiltà degli Enotri e della Magna Grecia. Il “terroir” unisce condizioni ambientali, dell’ecosistema, del clima, con la dimensione e l’apporto umano. L’area del Cirò meritava questo “premio”, questo traguardo, questa sfida.

In una fase in cui il mondo del vino guarda sempre di più all’enoturismo, al binomio indissolubile fra vigneti e calici, fra uve autoctone e degustazioni, fra etichette e cibo locale, fra enologia e beni culturali, la Docg del Cirò Classico diventa lo strumento adeguato per trainare non solo l’area di riferimento, ma tutto il comparto vitivinicolo calabrese. L’ultimo Vinitaly in the City non è stata una semplice fiera, o una suggestiva festa di popolo, ma ha spiegato e proposto un modello di sviluppo basato sulla massima valorizzazione del territorio.

Siti storici e archeologici jonici di assoluta importanza e bellezza quali Le Castella, Capocolonna, Punta Alice e la stessa Sibari sono congeniali per esaltare la Docg del Cirò Classico, perché consentono di immergersi nel racconto di vicende ultra-millenarie, di risalire alle origini della vitivinicoltura mediterranea, di promuovere contestualmente la Calabria migliore e i suoi vini di vera eccellenza. Il rinnovato Consorzio di tutela del Cirò, ma anche ogni singolo produttore, hanno un’occasione d’oro per rilanciare e scommettere sul proprio distintivo e non delocalizzabile “dna” enologico e storico.