“Il lavoro è un diritto e un dovere di ogni cittadino” recita l’articolo 4 della Costituzione italiana. Ma oggi, per molti, è diventato un miraggio.

Un Paese vecchio che perde forze

Nel 2025 l’Italia ha superato ufficialmente i 60 milioni di abitanti, ma il dato è fuorviante: il saldo naturale tra nascite e morti è negativo da oltre un decennio. L’età media è ormai oltre i 47 anni, e la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) è scesa al 63% del totale, contro il 66% di vent’anni fa. L’Istat prevede che entro il 2040, senza correttivi, l’Italia perderà quasi 5 milioni di lavoratori.

A confronto, la Germania – pur con dinamiche simili – ha già intrapreso una robusta riforma demografica, puntando su:

  • incentivi alle famiglie;
  • una legge sulla immigrazione qualificata;
  • un forte legame tra formazione, imprese e territori.

L’Italia, al contrario, si trova priva di una strategia demografica strutturata. Le misure previste dal cosiddetto “assegno unico” o dalla decontribuzione delle madri lavoratrici, pur significative, non sono sufficienti a invertire il trend.

Giovani che partono, competenze che scompaiono

Dal 2008 a oggi, oltre 1 milione e 300mila italiani sotto i 40 anni ha lasciato il Paese. Di questi, circa il 35% ha un titolo universitario o un diploma tecnico altamente qualificato. Il fenomeno del “brain drain” non è solo un danno economico (ogni giovane formato che emigra costa allo Stato oltre 100.000 euro di investimenti pubblici persi), ma anche un disastro sociale: svuotamento di intere aree interne, desertificazione delle competenze, perdita di competitività.

A differenza dell’Italia, la Francia ha varato già dal 2020 piani per il rientro dei talenti, con incentivi fiscali e reinserimento agevolato nei settori pubblici e privati. In Spagna, si sta investendo in smart working decentralizzato per attrarre giovani nelle zone rurali.

Il lavoro non si trova

Secondo il sistema informativo Excelsior (Unioncamere-Anpal), nel 2024 ci sono stati oltre 1,3 milioni di posti di lavoro scoperti, soprattutto nei settori:

  • costruzioni
  • meccanica
  • logistica
  • turismo
  • agricoltura
  • sanità

Le imprese lamentano l’assenza di candidati con competenze tecniche e trasversali adeguate. Il paradosso è evidente: disoccupazione giovanile al 20,1%, ma imprese che non riescono ad assumere. Questo fenomeno è noto come skill mismatch e colpisce in particolare il Nord e le regioni ad alta vocazione manifatturiera.

Un sistema senza strategia

Mentre Paesi come Austria e Olanda hanno integrato scuola, università e mondo produttivo, in Italia la frattura è ancora profonda. L’orientamento scolastico resta debole, i percorsi tecnici-professionali sono marginalizzati, e mancano politiche attive coordinate a livello nazionale.

Il Piano Nazionale Nuove Competenze, previsto dal Pnrr, promette un rilancio della formazione continua e delle politiche attive, ma ha incontrato ritardi, poca chiarezza normativa e scarsità di risorse reali sui territori. Fine 1ª parte