Ventiquattro ore dopo l’entrata in vigore dell’ordine esecutivo della Casa Bianca, sui dazi regna ancora molta incertezza. Perché a sancire le modifiche per il momento c’è solo il provvedimento firmato dal presidente americano. Un documento che di per sé non impegna le parti. L’accordo commerciale raggiunto il Scozia lo scorso 27 luglio fra Unione Europea e Stati Uniti, da Ursula von der LeyenDonald Trump, per avere piena validità, deve essere ratificato con una dichiarazione congiunta firmata da entrambe le parti. Come a dire che l’ordine esecutivo di Trump, da solo, non vale nulla. Il portavoce per il commercio della Commissione europea, Olof Gill, nel suo ormai consueto briefing con i giornalisti ha detto che la firma dei documenti è impedita dalla mancata definizione sul quadro complessivo dell’imposizione tariffaria. Le trattative vanno avanti da giorni. La linea interpretativa che l’Ue intende adottare è chiara: dazi al 15% su tutti i beni, nessuno escluso.

Il presidente della Commissione europea, Ursula van der Leyen e il presidente americano Donald Trump in Scozia (foto: ufficio stampa Commissione europea)

La Commissione preme per tale soluzione facendo anche leva su quanto dichiarato qualche giorno fa dal rappresentante statunitense per il Commercio, Jamieson Greer, che a margine dell’incontro, a Washington, con il ministro tedesco delle Finanze e vicepremier, Lars Klingbeil, ha detto ai giornalisti che «questi dazi sono praticamente definitivi e non dovrebbero essere oggetto di negoziato nell’immediato». Per Bruxelles significa che così come è stato scritto l’ordine esecutivo di Trump riguarda proprio tutto, anche le automobili (che oggi pagano una tariffa pari al 27,5%), i semiconduttori e le tecnologie aerospaziali ed anche i farmaci, che al momento sono esclusi dalla tassazione doganale. La Commissione europea sostiene che scongiurati i dazi al 30% l’intesa raggiunta «stabilizza e garantisce le catene di approvvigionamento transatlantiche a beneficio dell’industria e dei consumatori» europei. Su farmaci e semiconduttori, però, Washington la pensa in maniera molto diversa ed è pronta ad aprire un nuovo fronte di scontro.

La concorrenza internazionale sulla produzione e distribuzione dei farmaci si fa più agguerrita

Trump chiede all’Europa di mantenere gli impegni sugli investimenti negli Usa (600 miliardi) altrimenti le imposte sui medicinali arriveranno al 250%. Una richiesta abnorme. Un boomerang che colpirà imprese e cittadini con rincari sui prezzi dei medicinali. Sul settore farmaceutico si stanno concentrando le attenzioni e gli appetiti di altri player mondiali, Cina in testa. Emirati Arabi, India e Singapore hanno già accordi con molti Paesi che sostituiranno i loro attuali fornitori riducendo in maniera significativa l’export europeo. L’Europa nel 2024 ha incassato 127 miliardi di euro. Da aprile, però, la produzione industriale in questo settore è diminuita dell’11%. La sola Germania a giugno ha segnato -1,9% di esportazioni di farmaci verso gli Usa. Lo stesso ragionamento vale per il commercio dei semiconduttori. Taiwan guida il mercato seguita dalla Cina e dalla Corea del Sud. Sui microchip Trump minaccia dazi al 100%. Un’imposta di questo tipo farebbe schizzare i prezzi dei prodotti elettronici e avrebbe riflessi immediati anche sulle vendite di automobili e di altri veicoli. Il gruppo Toyota ha annunciato un calo di introiti, dall’inizio dell’anno, pari a 8 miliardi di dollari. Secondo il WSJ il settore dichiara perdite complessive per oltre 15 miliardi.

Il commercio delle auto è uno dei più colpiti dai dazi americani. Secondo il WSJ il settore ha già perso 15 miliardi di fatturato

Da aprile l’Amministrazione Usa ha già incassato 75 miliardi di dazi in più rispetto al primo settembre del 2025. Il segretario al Tesoro, Scott Bessent, ha stimato che per la fine dell’anno ci saranno introiti maggiori pari a 300 miliardi di dollari, l’1% del Pil. La Svizzera, colpita da Trump con una supertassa del 39%, ha presentato una controproposta con un pacchetto del valore di diversi miliardi di euro nei settori in cui è leader mondiale e ha chiesto in cambio dazi universali al 10%. Sul fronte del confronto tra Usa e Cina, dopo le ritorsioni reciproche di inizio primavera, il 12 agosto terminerà il periodo di sospensione dei dazi al 34% ed i due Paesi sembrano intenzionati ad applicare una tassazione ad valorem del 10%.

Il Dipartimento Usa delle dogane portuali ha serrato i controlli sugli arrivi di merci dai Paesi asiatici

Gli Usa hanno inoltre attivato una quota speciale per il commercio “trans-shipment” che colpisce al 40% esportazioni indirette, che cioè passino da nazioni terze per evitare tariffe più elevate. India e Brasile, con dazi al 50%, non sembrano intenzionate a cedere alle richieste americane. Il Paese Sudamericano si è rivolto all’Organizzazione mondiale del commercio chiedendo l’apertura di un procedimento in sede internazionale. Il presidente Lula vuole l’istituzione di un comitato arbitrale per valutare la legittimità delle tariffe imposte dagli Stati Uniti. L’India ha convocato un vertice del Brics per definire strategie comuni a tutela delle economie dei Paesi emergenti.