Il nuovo pontefice condanna la distorsione dell'informazione che semina odio e ci richiama alla responsabilità del linguaggio, a una comunicazione disarmata (ma non dalla verità) contro le parole che avvelenano la società
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Le parole del Papa sono un pugno nello stomaco. E devono esserlo. Perché oggi, nel tempo delle menzogne mascherate da notizie, delle opinioni travestite da verità, e del pettegolezzo che si fa giudizio, c’è bisogno di un linguaggio disarmato. Disarmato, sì — ma non disarmato dalla verità. Disarmato dall’odio, dalla calunnia, dalla manipolazione.
Le parole possono uccidere. Lo fanno ogni giorno. Uccidono la reputazione, l’onore, la speranza. Uccidono la fiducia. E quando l’informazione è sbagliata — volutamente distorta, costruita per dividere, per infangare, per spingere al sospetto e alla rabbia — allora uccide davvero.
Sparlare uccide. La diffamazione travestita da analisi uccide. L’insinuazione detta a mezza voce in uno studio televisivo, o sparata in prima pagina, uccide. E dietro ogni parola che infanga, c’è un volto che soffre, una vita che si spezza, una società che si imbarbarisce.
Basta con l’informazione che gioca a fare il boia. Basta con i professionisti dell’odio in doppiopetto. Chi ha in mano la parola — giornalisti, conduttori, politici, influencer — ha una responsabilità morale. Non può far finta di niente.
Oggi più che mai, il linguaggio deve farsi cura. Le parole devono disarmare il conflitto, non incendiarlo. Devono servire la verità, non l’audience. Perché chi semina parole d’odio, raccoglie silenzi di morte.