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De Micheli a Perfidia: «Schlein ha commesso un errore a tenere fuori dalla segreteria del Pd parte della minoranza»

VIDEO | Cosa resta del Secolo breve e i cambiamenti dei partiti politici al centro del talk di Antonella Grippo. Tra gli ospiti, Enzo Maraio, Giuliano Cazzola, Vincenzo Pelle, Fausto Orsomarso, Riccardo Tucci e Francesco Sapia

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di C. L.
15 aprile 2023
11:49

Prendendo spunto dal saggio di Edmondo Berselli, la trentatreesima puntata di Perfidia si domanda cosa è rimasto del Novecento, dei partiti granitici, delle masse con una precisa identità. Il prologo di Antonella Grippo ripercorre anni di mutamenti politici e di costume ritrovando, ai giorni nostri, proprio uno dei partiti più «antichi» del Novecento, alla guida del paese.

A discutere con la giornalista di Sapri, la già candidata alle Primarie del Partito democratico Paola De Micheli, il segretario del Partito Socialista Italiano Enzo Maraio, l’economista Giuliano Cazzola, il segretario generale della Filca-Cisl, Vincenzo Pelle, il senatore meloniano Fausto Orsomarso, il deputato cinquestelle Riccardo Tucci e l’ex parlamentare Francesco Sapia.


A mettere altra carne sul fuoco ci ha pensato Antonella Grippo che ha riproposto i contributi qualificati dello storico Luciano Canfora, del matematico, logico e saggista italiano Piergiorgio Odifreddi e del vulcanico Cateno De Luca con l’ormai celebre frase sul Ponte sullo Stretto che non è altro che un «festival delle min….te».

Come sono cambiati i partiti

Il segretario nazionale del Partito socialista, Enzo Maraio, rivendica i 131 anni di protagonismo politico: «Oggi siamo in grande difficoltà – ammette - per aver risentito più di altri la fine della prima repubblica. Scommetto però sulla necessità del ritorno alla strutturazione dei corpi intermedi, necessari per risolvere la deriva demagogica e populista che sta attraversando il Paese».

Discorso affrontato in apertura anche da Vincenzo Pelle che dal tritacarne tira fuori il sindacato: «è una categoria vivace – dice -. Abbiamo investito molto sul territorio, sulla presenza e sulla vicinanza».

Per Riccardo Tucci, l’unica vera spallata che il M5s ha dato alla vecchia politica è stata quella di passare dalle promesse ai fatti e quindi alle leggi, realizzando l’80% del programma elettorale. «Siamo stati noi quelli pragmatici» dice ammettendo dall’altra parte la fragilità dell’organizzazione territoriale del Movimento.

Quando il discorso scivola sul concetto di populismo che ha preso piede con la crisi dei partiti, a saltare dalla sedia è Francesco Sapia che, togliendosi qualche sassolino dalla scarpa, afferma che quel populismo ha messo in evidenza i grandi problemi della Calabria con denunce che oggi il Movimento 5 stelle non fa più. «Nessuno va più in piazza, e non capisco perché. Bisogna invece stare più vicini ai bisogni della gente e non delle lobby».

Il leaderismo nei partiti moderni

Per l’economista Giuliano Cazzola il leaderismo di Forza Italia, in cui il partito coincide con la figura di Silvio Berlusconi, è molti diverso dal leaderismo di Giorgia Meloni in Fratelli d’Italia, dove la sua figura è stata per lui decisiva nel voto.

Una visione per certi versi contestata da Fausto Orsomarso che, pur rimarcando la forza del presidente del Consiglio, sostiene come tutto il contorno non è stato eletto per caso, ma perché formatosi solidamente alla scuola della politica locale.

Tucci sposa in pieno la teoria del voto fluido di Cazzola anche perché in fin dei conti «il governo della Meloni segue pedissequamente l’agenda Draghi che prima contestava dall’opposizione». Posizione e accuse rincarate anche da Sapia che ingaggia un vero corpo a corpo con Cazzola, che mostrandosi un grande estimatore di Draghi, gli consiglia di «andare a zappare».

Per Tucci, poi, Draghi «è voluto andar via mettendo alla porta il M5s perché, dopo aver capito che non poteva raggiungere il Quirinale, sua vera ambizione, sapeva in quali condizioni si sarebbe trovato il paese in questo inverno».

De Micheli: «Segreteria del Pd con alcune lacune»

Dalla discussione non può non farne parte il Partito democratico. «La scelta di Schlein di escludere le due minoranze che non hanno partecipato al voto delle Primarie è stato un errore» per Paola De Micheli, che sottolinea come la segretaria nazionale non abbia vinto tra gli iscritti, «la vera questione è che la segreteria ha alcune lacune. Non sono rappresentati i cattolici, e manca la delega alla difesa e alla sicurezza, temi molto sentiti tra gli italiani. E poi ci sono persone che hanno già espresso opinioni radicalmente contrarie a quelle che sono le scelte della maggioranza degli amministratori democratici stanno portando avanti, e penso alla questione termovalorizzatori o alla transizione energetica».
Il Partito democratico, per lei, «ha bisogno di una segretaria che sia capace di fare sintesi di quelle che sono le sensibilità di tutti».

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