Le statuette del cinema

Agli Oscar vincono la follia del multiverso dei Daniels e il miracolo di Fraser, il Lazzaro resuscitato

“Everywhere, everything, all at once” sbaraglia la concorrenza con una storia caleidoscopica in cui la realtà si scompone in modo delirante in una notte di stelle in cui brilla la misericordia di Aronofsky re dei reietti

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di Alessia Principe
13 marzo 2023
09:40

Non poteva che essere così: la follia dei Daniels (sintesi di Dan Kwan e Daniel Scheinert), “Everywhere, everything, all at once”, ha vinto anzi stravinto nella notte degli Oscar appena trascorsa accumulando 7 statuette in categorie importanti. Il titolo circolava tra i favoriti da un pezzo e alla fine s’è guadagnato la meritata ribalta. È un film delirante, in cui lo zampino d’Oriente si declina in multiversi paradossali, onirici, impossibili, comici, da cartoon, che spesso ti fanno chiedere: ma cosa sto guardando? Ma questa allucinazione collettiva altro non è che una grande metafora della famiglia che può uccidere le tue aspettative e, mentre lo fa, incidentalmente anche salvarti dal baratro (anche se sei solo un sasso tra milioni di anni in un pianeta inospitale, ma per capire questo passaggio dovete vedere il film).

Ode al merito per il montaggio, che infatti si è portato a casa l’Oscar di settore. È stata una sfida non di poco conto (e sarebbe curioso dare un’occhiata alla timeline) per Paul Rogers che ha traghettato una storia frammentata fino al limite del lisergico, in un fluido continuo e in un narrato di senso compiuto.


Spielberg con "The Fabelmans" resta alla porta, il suo nostalgico spaccato infantile è stato forse considerato troppo classico, fuori tempo, per le generazione su cui si plasmano gli algoritmi produttivi. Niente da fare anche per il ritorno del Top Gun “Maverick” e di “Avatar - la via dell'acqua”, i super blockbuster in corsa ma solo sulla carta.

Ostlung con “Triangle of Sadness” ha dato quel tocco di grottesco festivaliero alla rosa dei candidati, firmando un’altra delle sue lucidissime pazzie in cui raccoglie in un cesto i difetti più semplici e corrosivi dell’essere umano esponendoli al sole fino a bruciarli. Da quella fiamma – come è solito fare - ha scatenato un incendio e quell’incendio ha alimentato un disastro. Insomma in quel film ce ne sono tre diversi e a lui piace da impazzire portarci a spasso.

Tornando ai vincitori è stata di certo una serata da incorniciare per la splendida Michelle Yeoh, miglior attrice protagonista nel film dei Daniels ("La Tigre e il dragone"), che ha ringraziato invitando le donne a superare gli sterotipi dell'età e dei ruoli. Festeggiano nella stessa squadra i migliori attori non protagonisti Ke Huy Quan (sì è lui il Data dei Goonies e anche lo Shorty di “Indiana Jones e il tempio maledetto”) e Jamie Lee Curtis favolosa anche nei panni di un’impiegata del fisco. È invece la versione antifascista di “Pinocchio” il miglior film d’animazione dell’anno.  Gioisce Guillermo Del Toro che ha investito un gran numero di anni nella produzione di questo gioiellino (ne avevamo parlato qui).

Quattro meritatissimi Oscar al gran film bellico “Niente di nuovo sul fronte occidentale” sugli orrori della Prima guerra mondiale, firmato dal regista tedesco Edward Berger e tratto da romanzo di Erich Maria Remarque (produzione Netflix) da vedere e rivedere. A bocca asciutta restano Alice Rorhwacher che sperava che le sue “Pupille” riuscissero a sfondare (anche se la sensazione è che quel corto mancasse di una forza adeguata all’estetica proposta) e l’altro italiano, Aldo Signoretti che concorreva nella sezione “makeup e acconciatura” per il film “Elvis” e ha avuto la sfortuna di scontrarsi con i vincitori annunciati, coloro che hanno trasformato Fraser in “The Whale”: Adrien Morot, Judy Chin e Anne Marie Bradley.

E a proposito del film di Darren Aronofsky, esiste un dio del cinema perché ha permesso di scrivere un lieto fine alla storia di Brendan Fraser, l’attore che pareva destinato all’oblio eterno è stato resuscitato come Lazzaro da colui che non è nuovo ad allungare la mano nel baratro e tirarne fuori i reietti. Aronofsky l’aveva già fatto con il potente “The wrestler” e il suo combattente esausto Mickey Rourke, e adesso ha ripetuto il miracolo con Fraser che si porta a casa l’Oscar come migliore attore. «Ritornare in superficie non è facile ma ce l’ho fatta» ha detto alzando l’Oscar al cielo.

Si chiude senza palpiti, colpi di scena e soprattutto senza schiaffi, la notte degli Oscar, quest’anno presentata da Jimmy Kimmel che si è concesso la battuta sul patatrac causato da Will Smith l’anno scorso: « Cinque attori irlandesi sono nominati stasera, il che significa che le possibilità di un combattimento sono appena aumentate» e rincarando la dose subito dopo: «Se qualcuno in questo teatro commetterà un atto di violenza in qualsiasi momento dello show, sarà premiato con l’Oscar come miglior attore e avrà la possibilità di fare un discorso di 19 minuti». Ma questo forse è successo in un altro universo, vai a sapere, nel dubbio chiedere ai Daniels che sul tema sono abbastanza ferrati.

 

Giornalista
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