Tra gli immigrati di Rosarno, tra degrado e vergogna

Nella tendopoli sono 1200, nella zona in tutto ce ne sono quasi 2300. Tra caporalato e condizioni lontane dalla dignità umana.
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di Guglielmo Mastroianni
17 gennaio 2016
12:51

Dice bene Carlo Tansi, responsabile della Protezione Civile calabrese: “E' solo entrando qui dentro che si capisce come questa gente viva in condizioni molto lontane dalla dignità umana.” Dove, per “qui dentro” si intende la tendopoli di San Ferdinando di Rosarno. E la gente che la abita sono immigrati, la maggior parte con regolare permesso di soggiorno e quasi tutti provenienti dalle zone più difficili dell'Africa.

 


Lavorano nei campi, per una retribuzione di circa tre euro all'ora. Così dicono, perché in realtà, su quella retribuzione va calcolato il costo del caporalato, vale a dire la percentuale che ognuno di loro versa al “capo”, come lo chiamano, cioè quello che, nella piazzetta del paese, li recluta per andare a lavorare, ogni mattina tra le 6.30 e le 9.00. Un affare gestito da altri immigrati, per lo più rumeni. Una vera e propria guerra fra poveri.

 

Nel 2010, da queste parti, vi fu la rivolta degli immigrati, con scontri anche molto duri con alcune persone del posto. E' sempre Tansi a spiegarlo: “Quando vivi in condizioni di sfruttamento, di sopruso e di degrado, è comprensibile che l'individuo tenda alla fine a ribellarsi.” Oggi nella tendopoli vivono in circa 1200. Ma se si aggiungono anche altri due posti in cui vengono accolti gli immigrati, vale a dire una zona adibita a container ed una vecchia fabbrica dismessa, il numero, nella sola zona di Rosarno, sale fino a 2300 persone. E' il periodo dell'anno con maggiore concentrazione di immigrati, favorito dalla raccolta di agrumi e olive. Ma in linea di massima non si scende mai, in totale, sotto le mille unità.

 

A chi compete l'onere della gestione di queste persone? Non certo alla Regione Calabria, che attraverso la protezione civile cerca di fare il possibile, pur non essendo una sua pertinenza, per rendere più umane possibili le condizioni di questi ragazzi. Perchè in maggioranza, tali sono: ragazzi. Che si sono anche organizzati, nella tendopoli, creando una microeconomia, un vero e proprio microcosmo: c'è il barbiere, il macellaio che vende carne cruda o arrostita, il meccanico che si prende cura principalmente delle centinaia di biciclette usate dagli immigrati per spostarsi. C'è una moschea ed una chiesa cristiana, un cinema, persino un piccolo supermercato. Ma c'è soprattutto chi si ingegna e vende acqua calda: accende un fuoco, riscalda l'acqua e la rivende a pochi centesimi al litro. Così almeno la gente si può lavare. Dicono: “Nemmeno i cani degli italiani vivono in queste condizioni.” E hanno ragione. Basta dare un'occhiata alle tende, di dentro, per capirlo.

 

Quasi con rabbia reclamano di non essere bestie, di essere gente che, nel loro paese, ha anche studiato, quasi tutti parlano almeno quattro o cinque lingue diverse. La rabbia sale quando poi si parla delle aggressioni che questi ragazzi subiscono, ad opera di ignoti, la sera, magari mentre rientrano alla tendopoli. Sei anni fa, da scintille come queste queste nacque la rivolta. E' chiaro, qui è lo Stato, quello centrale, quello di Roma, che manca. Perchè la Protezione Civile fa quel che può, la gente del posto, in maggioranza, non è ostile, anzi attraverso associazioni locali prova a dare una mano, a titolo totalmente gratuito. E la Regione, come detto, non ha competenza. Sarebbe materia da Ministero degli Interni, che però ad oggi riesce solo a mandare qualche coperta e a dare un minimo di protezione, tramite qualche volante delle Forze dell'Ordine. Intanto gli immigrati continuano la loro esistenza, in una terra che non li ha accolti come speravano. E che francamente ci fa anche vergognare. Indipendentemente da come la si pensi sull'argomento.

Guglielmo Mastroianni

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