«È inscindibile il Festival da Sanremo. La Rai ha bisogno del Festival, e Sanremo ha bisogno della Rai». Carlo Conti sceglie la platea del Festival della Tv di Dogliani, in provincia di Cuneo, per raccontare con la consueta sobrietà – e una punta di emozione – il suo ritorno alla guida della kermesse più amata (e commentata) d’Italia. E si racconta a LaCityMag nella prima giornata dell’evento che accende i riflettori sui media e la cultura contemporanea. Con lui, sul palco, Alessandra Comazzi. Prima di lui, tra gli ospiti: Francesca Fialdini, Ludovico Einaudi, Ornella Muti, Urbano Cairo.

Conti non ostenta emozioni, ma trasmette affetto profondo per un progetto che sente suo. «Sanremo è una festa. Io lo vivo così. Non mi sono mai posto il problema di fare meglio di chi mi ha preceduto. L’obiettivo è fare un bel Festival. Qualche punto in più o in meno di share non cambia la mia vita». 

Certo, la pressione non manca. «Solo a fine novembre mi capita di svegliarmi di notte – confessa – quando mi tornano in mente ritornelli di canzoni che avevo escluso. È lì che sento tutto il peso della responsabilità». Responsabilità che si manifesta anche nella selezione delle proposte. «Dai Big ne arrivano circa 500, 600 dalle Nuove Proposte e altrettanti dall’Area Sanremo. Per i giovani ho una commissione, ma i Big li sento solo io. Accentro molto, è vero, ma ho anche un gruppo di lavoro di grande fiducia con cui collaboro da anni».

Il nuovo Sanremo, quello che porterà in scena nel 2026, sta già prendendo forma. «Qualcosa sta arrivando. Alcuni brani mi sono già stati inviati, direttamente o tramite case discografiche. È tutto in movimento».

La forza del Festival, però, non è solo nella musica. È nel suo effetto moltiplicatore. «Nei giorni di Sanremo qualunque cosa viene amplificata. È una panna che si monta e si autoalimenta. Oggi con i social ogni cosa è commentata in tempo reale. È come quando gioca la Nazionale: tutti diventano commissari tecnici».

Il discorso si allarga, e tocca anche la tv pubblica e il suo rinnovamento. Conti riflette sul naturale passaggio di testimone: «Siamo in una fase simile a quella che vissi io, insieme a Bonolis e Fazio, quando i grandi nomi come Baudo, Corrado, Vianello e Bongiorno cominciavano a rallentare. Oggi tocca a noi sessantenni fare spazio ai quarantenni come Cattelan e De Martino».

Proprio a Stefano De Martino dedica parole affettuose: «È in una fascia oraria importantissima. È giovane, forte, simpatico, brillante. Ha fatto tanta gavetta, a partire da quando era ballerino. E poi è belloccio! Basta con questi conduttori scuri in tv», scherza.

La commozione arriva quando parla dell’amico di sempre, Fabrizio Frizzi. «È stato dopo la sua scomparsa che ho deciso di tornare a Firenze e fare il pendolare. Mio figlio Matteo, a quattro anni, un giorno mi chiese se poteva tifare Roma. È lì che ho capito che era ora di cambiare priorità».

Un Conti che si scopre ironico, ma anche intimamente riflessivo. Dice di non essere social: «Metto poco su Instagram, cose familiari. Mai il volto di mio figlio. Posto le mie uscite di pesca, anche quando non prendo nulla. Sono soddisfazioni da condividere».

Quando gli chiedono se ha ancora un sogno nel cassetto, la risposta arriva con leggerezza: «Mi piacerebbe avere una rubrica su Linea Blu dedicata alla pesca. Ma quando vedono come pesco, non me la fanno fare!». Eppure è proprio questo tono pacato, questa capacità di sdrammatizzare, a renderlo uno dei volti più amati del piccolo schermo.

E sulla fine della carriera? «Sarà il pubblico a decidere. Lo capirò da un dettaglio: quando andrò al supermercato e nessuno mi chiederà più una foto. Quello sarà il segnale. Vorrà dire che è il momento di smettere».

Intanto, però, c’è Sanremo. E per Carlo Conti, il festival continua a essere esattamente ciò che dice di voler portare sul palco: una grande, contagiosa festa italiana.