Il vento non soffia più, tira. E tira male. Le sirene dell’ennesima escalation — stavolta tra Stati Uniti e Iran — hanno fatto tremare non solo gli impianti di arricchimento dell’uranio a Fordo, Natanz e Isfahan, ma anche le certezze di chi si credeva al sicuro, magari sorseggiando un Negroni in terrazza. Dopo l’Ucraina, ora anche il Medio Oriente rilancia lo spettro nucleare. E allora l’idea, per quanto folle suoni, prende piede anche in Italia: costruirsi un bunker.

Non una battuta, ma una nuova ossessione. C’è chi consulta architetti, chi scava preventivi, chi sogna rifugi a prova di bomba atomica, magari con parquet riscaldato e vino rosso in cantina. Perché se la fine del mondo deve arrivare, meglio affrontarla col calice giusto.

Ma come si fa un bunker? Innanzitutto bisogna scendere. Letteralmente. Almeno tre metri sottoterra, meglio cinque se il terreno lo consente. Poi si deve costruire con criterio: cemento armato, lastre d’acciaio, isolanti ad alte prestazioni. Le pareti devono avere uno spessore compreso tra i 30 e gli 80 centimetri, a seconda del livello di paranoia. O di prudenza.

Una volta giù, bisogna poterci stare. Per giorni, settimane, forse mesi. Il che significa dotarsi di filtri NBC (nucleare, batteriologico, chimico), sistemi di ventilazione autonoma, generatori a pedali o pannelli solari, torce, scorte d’acqua, cibo liofilizzato, medicine, batterie, indumenti termici, sensori per monitorare l’esterno. E naturalmente, una buona connessione — anche solo per guardarsi la fine del mondo in streaming.

Le aziende specializzate, come Bunker Swiss o Bunker Specialist, parlano chiaro: un rifugio “base”, senza fronzoli ma funzionale, costa almeno 100mila euro. Se però si vuole qualcosa di più confortevole — tipo un bagno decente, una cucina, una camera separata dai figli — si arriva facilmente a mezzo milione. E oltre.

Negli Stati Uniti è già un business: ci sono rifugi venduti come resort di lusso post-apocalittico, con piscina, teatro e servizio concierge. In Italia, per ora, le richieste sono meno esibizioniste, ma in aumento. La maggior parte arriva da professionisti benestanti, manager e imprenditori del Nord. Gente che non si accontenta del piano B, ma vuole un piano B-unker.

Il vero problema, però, è la burocrazia. Scavare nel proprio giardino non è cosa da poco: servono autorizzazioni, valutazioni geologiche, nulla osta edilizi. E poi bisogna trovare un’impresa seria, che non ti lasci murato vivo tra i tubi della fogna.

Ma nonostante tutto, l’idea prende piede. La paura è democratica, ma la sopravvivenza no. E allora c’è chi preferisce investirci adesso, piuttosto che cercare un biglietto per Marte all’ultimo secondo. Perché il futuro, a quanto pare, sarà blindato. E con la porta stagna.