Damiano David balla e canta da solo. Senza i Måneskin, senza la corazza della band che lo ha reso un’icona planetaria. Una prima volta che pesa come un esame di maturità, consumata davanti al pubblico polacco e, in simultanea, su milioni di smartphone collegati a TikTok. Mezz’ora di diretta verticale, commenti da ogni angolo del mondo, italiani non troppi, tanti curiosi, molti fan pronti a chiedere “quando tornano i Måneskin?”. È stata la sua carta d’identità digitale, un biglietto da visita lanciato nel flusso globale delle piattaforme.

L’impronta del progetto è chiara: meno rock, più pop. E soprattutto pop statunitense. Un universo che guarda a Harry Styles più che a Iggy Pop, a Chappel Roan più che al rock sporco e incendiario con cui i Måneskin avevano conquistato l’Europa e l’America. Sul palco Damiano lascia presto i panni scintillanti di un tempo: niente pelle, niente eyeliner pesante, niente eccessi glam. Bretelle, camicia glitterata, uno stile più da dandy Little Italy che da frontman di un gruppo hard rock. Dopo un quarto d’ora la camicia vola via, quasi a segnare il passaggio dall’immagine costruita al corpo nudo di un cantante che vuole convincere da solo.

La scaletta non risparmia i pezzi forti. Born with a broken heart apre il concerto, seguita da brani tratti dal suo primo album solista, Funny little fears, appena ripubblicato in versione ampliata con cinque inediti sotto il titolo Funny little dreams. Tra questi, Talk to me, prodotta da Tyla e dal leggendario Nile Rodgers. «Forse alcuni di voi sono troppo fucking giovani per conoscerlo», scherza Damiano dal palco, ricordando agli spettatori che il papà della disco con gli Chic ha deciso di scommettere su di lui. È la sua carta pesante, il tentativo di entrare di diritto nel club delle grandi popstar internazionali.

C’è anche lo spazio per una cover. Non più duetti da rockstar con Iggy Pop, ma l’omaggio alla scena americana con Pink Pony Club di Chappel Roan: dance-pop da manuale, perfettamente in linea con il nuovo corso musicale. «Io amo fare cover», confessa Damiano, mostrando ancora una volta la voglia di misurarsi con modelli diversi da quelli che lo hanno consacrato negli ultimi cinque anni.

La sensazione però è duplice. Da un lato il talento resta intatto: voce potente, capacità scenica, magnetismo che non ha perso smalto. Dall’altro la sfida sembra metterlo in una corsa in salita. Damiano non è più il dominatore del rock mondiale, ma un giovane artista che deve guadagnarsi il suo posto nel pop globale, competendo con chi in quel gioco è nato e cresciuto. L’impressione, almeno a Varsavia, è che ci sia tanto lavoro da fare, tanta strada da correre.

La sfida si complica per un dettaglio che dettaglio non è: l’annuncio del ritorno dei Måneskin nel 2026. Alessandro De Angelis, padre di Victoria e amministratore della società che gestisce la band, lo ha detto chiaramente: «Torneranno a inizio 2026». Una frase che suona come una garanzia per i fan, ma che, caduta alla vigilia del tour solista di Damiano, rischia di trasformarsi in un’ombra ingombrante. Il cantante ha sempre tenuto il punto su un futuro ancora aperto, senza proclami definitivi, ma la macchina del gruppo è già in movimento.

Ecco allora il doppio binario: da un lato l’artista solista che cerca di affermarsi tra dischi, tour e collaborazioni internazionali; dall’altro il richiamo di una band che resta un marchio da milioni di copie e biglietti. La sfida personale di Damiano sarà dimostrare di poter reggere da solo, senza sembrare un fuoriclasse in attesa di tornare alla squadra.

Il debutto di Varsavia, anche se breve e in parte “compresso” dalle esigenze della diretta social, ha mostrato un artista che non rinuncia al carisma, ma che deve ancora trovare la formula giusta per imporsi. Non è un dramma: a molti frontman è toccato ricominciare da capo. Ma la strada, questa volta, non è più illuminata dalle luci dei Måneskin. È solo sua.