Un’indagine per truffa aggravata ai danni dell’Inps, tredici dipendenti in cassa integrazione fantasma e 126 mila euro che non dovevano uscire. La senatrice di FdI cerca ossigeno nelle aule parlamentari mentre l’udienza preliminare a Milano rischia di trasformarsi in un reality della vergogna istituzionale
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Le vie della giustizia sono infinite. E Daniela Santanchè, ministra del Turismo e volto patinato di Fratelli d’Italia, sembra intenzionata a percorrerle tutte, a costo di trasformare il Parlamento in un bunker personale. Martedì si apre un nuovo capitolo della sua battaglia contro la Procura di Milano, che vuole processarla per truffa aggravata ai danni dell’Inps. Non una scaramuccia giudiziaria qualunque: qui ballano 126 mila euro di cassa integrazione Covid, tredici dipendenti messi ufficialmente a zero ore mentre continuavano a lavorare per le aziende del gruppo Visibilia, la sua creatura imprenditoriale.
Il rischio per lei è enorme: un rinvio a giudizio significherebbe non solo l’ennesimo terremoto politico, ma anche una spada di Damocle sul suo posto al Governo. Anche tra i corridoi di FdI, le voci sono chiare: se il processo va avanti, la ministra è indifendibile.
Così Santanchè ha tirato fuori la carta più audace: rivolgersi alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, chiedendo di valutare un conflitto di attribuzione con i pm. Tradotto: secondo la senatrice e i suoi avvocati, tutte le prove raccolte senza il via libera del Parlamento sarebbero inutilizzabili. Chat, mail, registrazioni audio fatte a sua insaputa da un dipendente infedele: materiale esplosivo che i magistrati considerano la spina dorsale dell’accusa.
Se la Giunta le darà ragione, Santanchè otterrà due risultati in un colpo solo: rallentare ancora l’udienza preliminare – ferma da ottobre 2024 – e depotenziare le prove più imbarazzanti. E intanto il tempo passa, il Governo tira un sospiro di sollievo e l’opinione pubblica digerisce l’ennesimo pasticcio.
A Milano la cronaca del processo sembra un copione di farsa istituzionale. Prima i legali della ministra – Salvatore Pino e Nicolò Pelanda – contestano la competenza territoriale: «Non Milano, ma Roma». La Cassazione risponde picche. Poi depositano memorie su memorie, l’ultima l’11 luglio, quando spunta la questione delle cinque registrazioni “occulte” e della chiavetta con le mail interne di Visibilia. «Nessuna utilizzazione è legittima», scrivono, «serve il via libera della Camera di appartenenza». Risultato? Udienza rinviata al 17 ottobre, quando la ministra si farà interrogare dalla gup Tiziana Gueli.
Nel frattempo, la scena si sposta a Roma. Martedì la Giunta per le immunità – ribattezzata dall’opposizione «Giunta per l’Impunità» – inizierà a discutere il caso. La senatrice M5s Ada Lopreiato alza la voce: «Convocazione d’urgenza per un conflitto di cui ignoriamo persino i dettagli». Eppure Santanchè ha fretta: vuole costringere la maggioranza a difenderla, trasformando l’alleanza di Governo in un salvagente politico.
Dietro il teatrino, restano i numeri dell’inchiesta: tredici dipendenti in cassa integrazione fasulla, 126 mila euro di soldi pubblici, un gruppo di società travolto da debiti e scandali. E le prove, almeno secondo la Procura di Milano, sono lì: voci, chat, mail, registrazioni che raccontano come funzionava il meccanismo. Per la ministra, però, tutto è un complotto procedurale.
In attesa di ottobre, il caso Santanchè continua a logorare la credibilità del Governo e a trasformare le aule parlamentari in un rifugio per imputati eccellenti. La Giunta dovrà decidere se farsi scudo umano della ministra o lasciarla al suo destino giudiziario. Nel frattempo, la “lady di ferro” di FdI sorride in pubblico e sfida la giustizia a colpi di cavilli, nella speranza che il tempo e la politica facciano il resto.