Dall’Arabia Saudita agli Emirati, passando per Qatar e Bahrein: un’inedita rivoluzione silenziosa sta trasformando il Golfo in un centro di innovazione, influenza culturale e ambizioni geopolitiche, tra sfide interne e strategie globali
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Mentre la democrazia vacilla in Occidente e le autocrazie si rafforzano in Oriente, una nuova forza geopolitica emerge silenziosamente dal deserto. Il mondo arabo, per decenni associato a instabilità, guerre, fondamentalismi religiosi e regressione dei diritti civili, sta vivendo una trasformazione profonda. In alcuni casi, silenziosa. In altri, sfacciatamente ambiziosa. Ma comunque reale.
Gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar, ora anche l’Arabia Saudita e perfino il Bahrein stanno ridisegnando non solo la propria economia, ma anche la propria immagine, la loro identità e — gradualmente — il rapporto tra potere e società. Una metamorfosi guidata da una miscela di tecnologia, visione strategica e investimenti mastodontici. Un movimento che potrebbe rendere il mondo arabo la più grande novità del XXI secolo.
Dal petrolio all’intelligenza artificiale
Questi Paesi non stanno più semplicemente vivendo di rendita petrolifera: stanno reinvestendo la propria ricchezza per costruire il futuro. Il fondo sovrano saudita (PIF), valutato oltre 700 miliardi di dollari, è uno dei più potenti del mondo. Gli Emirati hanno trasformato Dubai e Abu Dhabi in hub tecnologici e culturali di respiro globale. Il Qatar è diventato un nodo essenziale nelle trattative diplomatiche internazionali, oltre che un punto nevralgico per sport e cultura.
Questi Stati stanno investendo in intelligenza artificiale, energia rinnovabile, ricerca spaziale, città intelligenti. Progetti come Neom (Arabia Saudita), una megalopoli futuristica nel deserto dal valore stimato di 500 miliardi di dollari, o Masdar City (Emirati), primo esperimento di città a zero emissioni, testimoniano un cambio di paradigma: non più solo conservatori di risorse, ma incubatori del futuro.
Verso una società più aperta e moderna
Sebbene le monarchie del Golfo restino regimi autoritari, si intravedono segnali di un’apertura — lenta, calcolata, ma reale. L’Arabia Saudita ha legalizzato la guida per le donne, ridotto il potere della polizia religiosa e aperto al turismo internazionale. Gli Emirati Arabi Uniti hanno riformato il diritto di famiglia, allentato le restrizioni religiose e lanciato piani di naturalizzazione per attrarre cervelli e capitali.
Il cambiamento sociale è ancora pieno di contraddizioni — la censura esiste, i diritti politici restano limitati, l’opposizione non ha spazio — ma emerge una nuova borghesia globale, fatta di professionisti, startupper, artisti, imprenditori. In città come Dubai, Riyadh o Doha convivono più di 150 nazionalità diverse, e l’inglese è ormai la lingua franca del business.
La modernizzazione non avviene solo per pressione esterna, ma anche per convenienza interna: i nuovi leader arabi sanno che senza una società più aperta, dinamica, competitiva, la transizione post-petrolio è impossibile.
Una nuova egemonia soft
Questi Paesi stanno anche ridefinendo le logiche del soft power globale. Attraverso sport, cultura e diplomazia, stanno guadagnando influenza in Africa, Asia, Europa. Il Qatar ha ospitato il Mondiale di calcio del 2022. L’Arabia Saudita è diventata sede di concerti pop internazionali e di eventi culturali una volta impensabili. Gli Emirati partecipano attivamente alla corsa allo spazio e sono membri attivi di alleanze internazionali sulle nuove tecnologie.
La loro capacità di fungere da mediatori tra mondi che non si parlano più — l’Occidente, la Cina, l’Iran, la Russia — li rende protagonisti silenziosi ma sempre più centrali negli equilibri geopolitici.
Come scrive lo storico israeliano Yuval Noah Harari: “I grandi imperi nascono nei deserti non perché manchi la vita, ma perché lì nasce la visione.”
Il mondo multipolare che verrà
Se il XX secolo è stato il secolo dell’Europa, e il XXI avrebbe dovuto essere quello dell’Asia, ora emerge una terza possibilità: il secolo del Golfo. In uno scenario mondiale dominato da potenze in declino (l’Europa), in crisi interna (gli USA), o percepite come minacce sistemiche (la Cina e la Russia), i nuovi Paesi arabi appaiono come laboratori di un modello ibrido: modernizzazione senza liberalismo politico, innovazione tecnologica senza democrazia parlamentare, pluralismo economico con autorità centralizzata.
Un modello che affascina molti Paesi africani e asiatici, che non vogliono copiare l’Occidente, ma ne vogliono superare i fallimenti.
La grande sorpresa del III millennio
È dunque dal deserto che potrebbe arrivare la vera novità geopolitica del nuovo millennio. Un mondo arabo reinventato, capace di parlare la lingua dell’innovazione e del futuro, pur mantenendo una sua identità forte, spesso conservatrice. Un mondo che non è più solo spettatore o teatro di conflitti, ma protagonista e regista.
Certo, il cammino è ancora lungo, e le contraddizioni non mancano. Ma forse — come accade nei momenti più oscuri della storia — il cambiamento più rivoluzionario non viene da dove lo si aspetta. E in un pianeta stanco, confuso, frammentato, può darsi che una nuova visione sorga proprio dall’orizzonte più antico dell’umanità: il deserto.
“Nel deserto si perde tutto. Tranne la direzione del sole.” (Proverbio arabo)
*Hanno collaborato all’inchiesta con contributi esterni: Andrea Papaccio Napoletano, Giuseppe Scuticchio, Bruno Mirante.