A 29 anni l’ex centrocampista di Samp, Udinese e Cagliari ha lasciato il calcio giocato. Dopo il coming out che fece il giro del mondo, oggi vive a Praga
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Jakub Jankto of Cagliari Calcio during Cagliari Calcio vs SSC Napoli, Italian soccer Serie A match in Cagliari, Italy, September 15 2024
Jakub «Kuba» Jankto ha voltato pagina. A 29 anni, dopo una carriera tra Italia e Repubblica Ceca, ha detto addio al calcio professionistico. Una decisione maturata per due motivi: una caviglia che non smetteva di far male e un figlio che vive lontano, a cui voleva finalmente dedicare tempo vero. L’unico calciatore di livello internazionale ad aver fatto coming out mentre era ancora in attività oggi è tornato a casa, a Praga, dove si è costruito una nuova vita. «La mia occupazione principale è curare gli investimenti immobiliari che ho fatto in questi anni – racconta al Corriere della Sera – e poi alleno più di ottanta ragazzini in due squadre diverse: il Dukla Praga e il Cafc Praga, che è un’accademia dello Slavia, la società dove sono cresciuto prima di arrivare in Italia, all’Udinese».
Una vita normale, fatta di allenamenti, famiglia e serenità. «Tra poco allenerò anche mio figlio, che ha sei anni. In realtà lo sto già facendo nel Dukla», dice sorridendo. È un padre presente, protettivo, ma consapevole delle difficoltà. «Può succedere che qualcuno gli faccia battute per il fatto di avere un padre gay, gli idioti esistono sempre. Ma lui è molto più intelligente di quanto fossi io alla sua età. Ho lasciato il calcio anche per stargli vicino, per seguirlo nella crescita». Il rapporto con la sua ex compagna è «normale», spiega, «ci sentiamo solo per le cose che riguardano nostro figlio». Niente rancori, solo la necessità di mantenere un equilibrio.
Quando Jankto annunciò pubblicamente la sua omosessualità, nel febbraio del 2023, si trovava già in Repubblica Ceca. Il video postato sui social – «Sono gay e non voglio più nasconderlo» – fece il giro del mondo, scuotendo un ambiente come quello del calcio tradizionalmente restio a parlare di diversità. «Il primo mese è stato difficile – ammette – perché non sapevo come avrebbero reagito le persone. Ma dopo poche settimane ho capito che non avevo nulla da temere: tutti mi hanno aiutato, anche perché ho mantenuto un comportamento positivo. A Praga mi fermano tanti tifosi italiani, e mi salutano con affetto».
Oggi, con il senno di poi, lo definisce il gesto più importante della sua vita. «I tre anni successivi al coming out sono stati i migliori della mia carriera – spiega – perché finalmente non dovevo più nascondere niente. Potevo uscire con il mio partner, vivere normalmente. Prima avevo paura, mi sentivo sbagliato. Quando hanno cominciato a circolare voci, mi sono sentito male: ho deciso che dovevo dirlo e ho registrato quel video».
C’è spazio anche per un ricordo affettuoso verso Claudio Ranieri, che lo allenò a Genova. «Abbiamo un rapporto speciale, ma mi massacrava sul campo – ride –. Mi ha insegnato tanto, mi ha fatto crescere e con lui ho avuto l’onore di portare la fascia di capitano della Sampdoria».
Durante gli anni in Italia, Jankto non si è mai sentito discriminato. «Sinceramente sono stato trattato meglio di quanto pensassi – dice –. Gli scemi che insultano sui social esistono sempre, ma la vita reale è diversa: quando rispetti il tuo lavoro e ti comporti bene, ricevi rispetto. Ad Ascoli, Genova e Udine mi hanno sempre voluto bene».
Anche a Cagliari, dove ha chiuso la carriera, non ha nascosto la sua relazione. «Non si usciva molto con tutta la squadra, ma ora a Praga sì: quando gli altri allenatori portano le mogli o le fidanzate, io porto il mio compagno. E nessuno si scandalizza. Sono felice, sto bene con me stesso».
Un passaggio è dedicato anche al mondo del calcio e all’etichetta, spesso abusata, di ambiente omofobo. «Per la mia esperienza, no. Il problema non è dentro il calcio, ma fuori. Nello spogliatoio conta solo se sei un professionista, se dai tutto per la squadra. I pregiudizi arrivano dalla società, non dal campo». Ma se il suo gesto doveva aprire una breccia, non ha prodotto emulazioni. Nessun altro calciatore di alto livello ha seguito il suo esempio. «Forse molti hanno paura del giudizio, ma ognuno fa le sue scelte. Io ho provato a mostrare che se fai coming out, non succede nulla. Mi sono arrivati centinaia di messaggi, da calciatori, tifosi, ragazzi qualsiasi: tutti mi scrivevano “vorrei avere il tuo coraggio, ma non riesco”».
Oggi Jankto non cerca ribalte mediatiche. Si limita ad allenare, a vivere la sua vita, a costruire un equilibrio fatto di libertà e affetti. «Il calcio mi ha dato tutto, ma anche tolto tanto. Ora voglio solo essere felice, fare il padre, l’allenatore e l’uomo che ho sempre voluto essere». E lo dice senza retorica, con una semplicità disarmante. Perché a volte il vero coraggio non è sfidare il mondo, ma accettare se stessi e continuare a camminare, a testa alta, nella propria verità.